Il Viminale accende i riflettori sul caso Bologna: il 47% dei reati è compiuto da stranieri, la città è divisa tra allarme e risposte attese
Il ministero dell’Interno ha acceso un riflettore sul caso Bologna dove il problema sicurezza è ormai al centro del dibattito pubblico e istituzionale, spinto da numeri che parlano chiaro con i dati diffusi dal Viminale – secondo i quali – nel corso del 2024 nell’area metropolitana sono state arrestate o denunciate 19.036 persone, tra cui 8.911 stranieri – una percentuale che sfiora il 47%, in crescita rispetto al 2023.
Ma a preoccupare maggiormente è la composizione di questi reati tra i denunciati per violenza sessuale, gli stranieri sono il 59,5%, nel caso delle rapine salgono al 63%, per i reati legati alla droga raggiungono il 69,5% e per i furti il 60%: numeri che fanno rumore e che generano una discussione accesa su come garantire sicurezza in una città che si sente sempre più vulnerabile, in particolare nei quartieri popolari
Gli ultimi episodi di cronaca – dall’aggressione con le forbici in piazza dell’Unità all’accoltellamento avvenuto al parco della Montagnola – hanno scaturito un confronto che sembra non trovare tregua: da una parte, le opposizioni che accusano l’amministrazione comunale di aver perso il controllo e di sottovalutare la portata del problema, dall’altra, il sindaco Matteo Lepore che richiama alle responsabilità dello Stato e lamenta la scarsità di personale, segnalando che mancherebbero oltre cento agenti di polizia e almeno venti vigili del fuoco per coprire i bisogni reali del territorio.
Per il primo cittadino, il vero tema è di natura strutturale e riguarda sia la capacità del Governo di eseguire le espulsioni (spesso bloccate da ostacoli burocratici o giuridici) sia la necessità di investire più risorse nei territori, rafforzando la presenza delle forze dell’ordine e aggiornando i protocolli di sicurezza, oggi non più adeguati a rispondere a una criminalità sempre più frammentata e imprevedibile.
Caso Bologna: tra stranieri e reati, si cerca un equilibrio tra repressione e prevenzione
Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, intervenendo durante un evento a Palazzo d’Accursio, ha cercato di smorzare i toni, volendo mettere in evidenza che nessuno è in grado di offrire garanzie assolute in materia di sicurezza ma ha ribadito l’urgenza di una cooperazione più solida tra istituzioni lasciando così intendere che le soluzioni non possono arrivare da un solo livello di governo e intanto – mentre Fratelli d’Italia continua a chiedere un cambio di passo e qualcuno invoca le dimissioni del sindaco – il Partito Democratico si è schierato compatto con Lepore, rinnovando la richiesta di rafforzare gli strumenti a disposizione dei Comuni e sostenendo la necessità di una strategia condivisa a livello nazionale.
All’interno del Pd bolognese si registra però anche una transizione da considerare: Federica Mazzoni (segretaria provinciale e presidente del quartiere dove è avvenuto l’ultimo arresto) ha annunciato un passo indietro in vista del congresso, un gesto interpretato in modo controverso in un momento in cui serve un profilo capace di tenere insieme il partito e rispondere con serietà e continuità alla crescente domanda di protezione da parte della cittadinanza.
Il sindaco ha infine difeso anche l’uso del taser da parte delle forze dell’ordine considerandolo legittimo in contesti particolarmente critici, anche se ha ricordato che la polizia locale ha funzioni diverse e non sempre può intervenire con la stessa prontezza della polizia di Stato; in una città sempre più polarizzata, Bologna cerca risposte concrete più che slogan con la consapevolezza che la sicurezza non può essere solo una questione di ordine pubblico ma anche di coesione sociale, pianificazione urbana e investimenti duraturi.