CASO ZAKY/ El Sebaie: ecco perché non è un nuovo caso Regeni

- int. Sherif El Sebaie

Il caso dello studente egiziano che studiava a Bologna fa venire in mente il caso Regeni, è così?

patrick george zaky 2020 web 640x300 Patrick George Zaky, foto pubblicata da Agenzia Dire

Lavarsi la coscienza per il rimorso di non aver fatto abbastanza per Giulio Regeni, cittadino italiano verso il quale l’Italia avrebbe dovuto muoversi con tempi e modi ben diversi di come in realtà è stato fatto? “Chiedere la scarcerazione  di Patrick Zaky (al momento è sottoposto a un fermo di 15 giorni, ndr) è una intrusione negli affari interni di un paese sovrano e indipendente, l’Egitto” afferma il giornalista e opinionista egiziano Sherif el Sebaie, esperto di diplomazia culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione, nonché Fellow dell’International Visitor Leadership Program del Dipartimento di Stato Usa e del Simposio internazionale di Arte islamica presso l’Università della Virginia. Ma “non ci sono dubbi che il giovane arrestato, benché studiasse in Italia, sia cittadino egiziano e dunque le autorità egiziane hanno avuto tutto il diritto di arrestarlo, mentre l’Italia non ne ha alcuno per avanzare richieste. E poi, non c’è alcuna prova che sia stato torturato come hanno scritto sin da subito i media italiani. Si è passati da ‘sarebbe stato’ a ‘è stato torturato’. Ma le prove dove sono? No, non si tratta di un altro caso Regeni. Anzi, avanzare il paragone non farebbe altro che causare problemi seri fra Italia ed Egitto”.

Governo e diplomazia italiani si stanno attivando, almeno a parole, perché lo studente egiziano venga rilasciato o quanto meno si possa seguire il suo caso dal punto di vista legale. Ed è stato chiesto anche all’Unione europea di attivarsi. Ma Zaky è un cittadino egiziano. Dunque?

L’Italia non può fare assolutamente niente ed è alquanto risibile e pericoloso il fatto che si esercitino pressioni mediatiche e politiche per chiedere un’azione in tal senso.

In che senso pericoloso?

Infilarsi in questo caso, chiedere l’assistenza diplomatica e legale da parte dell’Italia o addirittura della Ue, sarebbe contrario a qualunque elementare regola di diritto internazionale. Quindi si andrebbe a uno scontro diplomatico.

Al momento sul suo arresto circolano ancora informazioni confuse. Che cosa ci può dire?

La questione non è che circolano informazioni confuse, ma che sono messe in giro anche informazioni secondo me manipolate.

Ci spieghi.

Quando i portavoce di Amnesty International escono allo scoperto accusando esplicitamente l’Egitto senza che si sappia ancora assolutamente nulla del caso e senza che nessuno di loro abbia avuto alcun contatto con lo studente, dicendo che potrebbe essere stato torturato anche con un elettroshock, allora mi chiedo: ma questa informazione da dove salta fuori? Da chi?

E’ evidente che si fa riferimento a casi analoghi successi in passato, a persone fermate dalle autorità egiziane e poi torturate, a volte uccise, non crede?

Ma ci sono state persone rilasciate, come è successo proprio a un amico di Zaky, tenuto in stato di fermo per i normali 15 giorni regolarmente previsti dalla legge egiziana e poi rimesso in libertà. Se ne vogliamo parlare, allora è giusto dire tutte le cose come stanno.

Adesso Zaky da 15 giorni è in stato di fermo, che anche in assenza di accuse circostanziate può trasformarsi in un fermo che può durare al massimo due anni. E’ così?

Sì, questa è la legge. Ma non si tiene mai conto che l’Egitto è un paese in l’emergenza terrorismo è una priorità, non è un paese come l’Italia. E’ grave che rappresentanti di associazioni per i diritti  umani forniscano informazioni con il condizionale e che i giornali divulgano come verità. Diventa difficile crederci se prima si esce con il condizionale e poi diventa una verità con l’indicativo: come faccio a crederci?

Lei conosce la Egyptian Iniziative for Personal Rights, l’associazione con cui collaborava Patrick Zaky?

Sì, è una delle tante organizzazioni che fanno riferimento all’opposizione laica, è una delle tante Ong che percepiscono finanziamenti per realizzare ricerche sul tema delle libertà civili.

Arrestato senza motivo, scrivono i giornali italiani, invece partecipava ad attività come questa associazione…

Affermare che sia stato arrestato senza motivo è assurdo. Il fatto che ci fosse addirittura un mandato di cattura tale per cui sarebbe stato arrestato non appena fosse arrivato in aeroporto, dimostra che probabilmente ci sia qualcosa di più di qualche critica postata su Facebook. In Egitto abitano cento milioni di persone, di post critici ne girano tantissimi, quindi se le autorità scelgono di arrestare una persona ben precisa, significa che c’è qualcosa di più grave. E presumo che questo in un processo verrà fuori.

Non potrebbe però anche venir fuori che Zaky non era colpevole di nulla?

Il problema adesso è che si è creato un tale clamore mediatico che l’Egitto non lo lascerà libero subito. Sarebbe un segnale di arrendevolezza nei confronti di un paese straniero.

Forse l’Italia vuol farsi perdonare le mancanze e le omissioni compiute nel caso Regeni, chiedendo all’Egitto un gesto distensivo?

Se fosse così, si è scelta l’occasione sbagliata per trovare una distensione. Zaky non ha la cittadinanza italiana, non c’è alcun appiglio legale che autorizzi l’Italia ad avanzare pretese simili, sarebbe una interferenza, una provocazione negli affari interni egiziani. Nemmeno gli Stati Uniti si comportano più così.





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