I vertici USA parlano di guerra in una chat in cui è stato inavvertitamente invitato un giornalista. Un fatto gravissimo per la sicurezza nazionale

La vicenda di per sé ha dell’incredibile: una chat alla quale è stato abilitato anche un giornalista, nella quale i vertici dell’amministrazione americana parlano di attaccare gli Houthi nello Yemen, rivelando conversazioni che dovevano restare segrete. Oppure, come ha fatto il vicepresidente J.D. Vance, che se la prendono con la UE (“Odio salvare ancora l’Europa”). Un fatto senza precedenti, da dilettanti allo sbaraglio, che per il momento sembra non avere ripercussioni sulla compagine governativa di Trump, anche se non è difficile prevedere qualche strascico legale.



Una questione, spiega Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, aperta sotto tre profili: non si doveva tenere una conversazione del genere in una chat non secretata, non si doveva consentire l’accesso di una persona che non aveva titolo per partecipare alla discussione, non si poteva inserire (come invece è stato) una procedura di cancellazione dei messaggi che avrebbe fatto sparire conversazioni che per legge devono essere tenute agli atti. Trump ha minimizzato l’accaduto, ma intanto almeno gli alleati degli americani ora saranno molto più cauti nel rivelare informazioni agli USA.



Una chat non protetta nella quale i vertici dell’amministrazione USA parlano di attacchi agli Houthi, e un giornalista invitato a partecipare per sbaglio. E dichiarazioni di Vance e Hegseth contro l’Europa diventate pubbliche, peraltro sottoscritte successivamente da Trump. Quanto è grave l’episodio che vede coinvolte personalità di spicco del governo americano?

Quanto accaduto è inquietante da tanti punti di vista. A livello di contenuti, direi che sono stati fortunati: sono uscite dichiarazioni che confermano la considerazione dell’Europa che ha l’amministrazione Trump, quella che era già nota. Al di là del tema dei dazi, d’altra parte, gli americani, in generale, non è che abbiano mai avuto una grande passione per l’Europa, se non per turismo.



L’aspetto incredibile della vicenda è che sia stato incluso un giornalista in una chat in cui si parla di temi sensibili, compreso un attacco contro gli Houthi nello Yemen. Il fatto in sé è gravissimo e, probabilmente, in qualsiasi altra amministrazione almeno Mike Waltz, come consigliere per la sicurezza nazionale, sarebbe stato silurato.

Qualcuno attribuisce responsabilità anche a Pete Hegseth, il capo del Pentagono, che avrebbe inserito il nome del giornalista nella chat. Potrebbe rischiare qualcosa?

Credo che non avrà ripercussioni: Trump, per il momento, sta difendendo tutte le persone coinvolte, quindi non credo che cadranno delle teste. Tra i partecipanti c’erano anche il capo di gabinetto Susie Wiles, e Tulsi Gabbard, responsabile dell’intelligence: si sarebbero potute accorgere almeno della presenza del direttore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg. Si discuteva di temi sensibili, relativi alla sicurezza nazionale, di attacchi nello Yemen. Possibile che venga fatto su una chat Signal, non secretata? È vero che viene spesso utilizzata da top manager e ministri, però sorprende veramente che abbiano utilizzato uno strumento che non fosse più che sicuro.

Ci saranno dei protocolli da seguire per queste comunicazioni. Se li sono dimenticati?

I problemi dal punto di vista delle procedure non mancano. Sembra che per questa chat fosse stata inserita la cancellazione dopo un certo periodo, ma è una cosa che non si può fare, perché questo tipo di documenti va conservato, deve rimanere agli atti. Ingenuamente, forse, hanno inserito la possibilità della cancellazione proprio per motivi di sicurezza; in realtà, quelle conversazioni non possono andare perse. Credo che, alla fine, potrebbero esserci dei problemi legali. Qualcuno li ha già sollevati. I democratici sono già insorti. Comunque, anche se Trump ha ribadito la fiducia a tutti, dovranno essere accertate le responsabilità.

Ha suscitato qualche polemica anche l’intervista resa da Steve Witkoff, inviato di Trump che segue le trattative per l’Ucraina. Intervistato da Tucker Carlson, ha dimostrato di non sapere neanche i nomi di tutti gli oblast rivendicati dai russi e di dare credito ai referendum con cui Mosca ha annesso alcuni territori ucraini. Un argomento caro alla propaganda russa. Un altro segnale di sfilacciamento dell’amministrazione USA?

Non credo. Witkoff non è Kissinger, ma non è uno sprovveduto, anche se il suo approccio, come quello di Trump, è più da businessman. Le parole di Witkoff sono quelle di una persona che sta cercando di tenersi buoni i russi. Ha detto che Putin non è cattivo, che è una brava persona: o l’inviato USA è un ingenuo e non sa con chi sta parlando, o sta blandendo il capo del Cremlino perché vuole una tregua entro il 20 aprile, giorno in cui festeggiano la Pasqua anche gli ortodossi. In realtà, in quelle dichiarazioni c’è un doppio registro, di chi parla agli elettori americani e a Mosca. Sono condizionate dalla necessità di portare al tavolo i russi, che da una parte trattano, dall’altra dicono che ancora non ci siamo.

La vicenda della chat non secretata, i cui contenuti sono diventati pubblici, potrà influenzare in qualche modo il negoziato per l’Ucraina?

Non credo, tanto è vero che si sono fatti i primi passi avanti. Potrebbe influire nei rapporti con gli altri alleati. Adesso ci penseranno due volte prima di condividere informazioni sensibili.

Politico ha rivelato il contenuto di una mail, inviata all’ufficio dei repubblicani del Senato, che invita a stare in guardia dai clienti di studi legali di area dem che fanno lobbying al Congresso. Il presidente avrebbe revocato contratti federali ad alcuni di questi studi. Una “vendetta” su chi appoggia i suoi nemici?

Trump ha sempre definito i suoi processi una caccia alle streghe. C’è, ovviamente, un braccio di ferro con i giudici, molti dei quali sono di nomina presidenziale, tant’è che lui sottolinea spesso, quando li mette alla berlina, che sono stati nominati da Obama o da altri avversari. Nel sistema americano, comunque, ci sono dei contrappesi: il presidente non potrà andare oltre quelli che sono i suoi poteri. Tutto questo ricorda un po’ l’Italia.

In che senso?

Da una parte Trump considera alcuni magistrati avversari politici, dall’altra i giudici intervengono su ogni sua azione o decisione, compresa, per quanto controversa, la deportazione dei componenti di gang venezuelane in base a una legge dell’Ottocento. Certo, il presidente è un personaggio aggressivo, che non sopporta tutto ciò che si frappone tra lui e le sue decisioni. È anche vero che, se non ci fosse stato lui, non staremmo qui a parlare di pace in Ucraina.

I democratici, intanto, danno qualche segno di vita? La più attiva sembra Alexandria Ocasio-Cortez, che tiene molti comizi. Stanno cercando di riprendersi dalla sconfitta elettorale?

C’è la Ocasio-Cortez ma anche Bernie Sanders, che sta riempiendo le piazze ancora una volta di giovani. L’anima liberal dei democratici si sta muovendo. Trump ha preso anche delle decisioni molto impopolari, come il taglio dei dipendenti federali, e questo non è piaciuto né agli elettori democratici né a quelli repubblicani. Molti rappresentanti del GOP, per esempio, fanno fatica a presentarsi nelle town hall, per incontrare le comunità locali. Ocasio-Cortez e Sanders stanno un po’ colmando questo vuoto. Si sono presentati ad alcune town hall repubblicane, dove sono stati applauditi. Nel loro partito, però, gli altri sono pressoché inesistenti.

(Paolo Rossetti)

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