Ieri si è svolta a Roma la veglia di preghiera per Gaza della Comunità di Sant’Egidio. Guidata dal card. Bassetti, ha avuto ospite il card. Pizzaballa
La giornata di ieri, in Italia e nel mondo, è stata tutta nel segno degli orrori della guerra di Gaza. Battaglie diplomatiche all’Onu, guerriglia a Milano, grandi manifestazioni, per fortuna senza incidenti in altre città. Ma a Roma è accaduto qualcosa di diverso. La Comunità di Sant’Egidio ha promosso una veglia di preghiera per Gaza, alla quale hanno aderito molti gruppi e movimenti cattolici.
Su Roma doveva venir giù una bomba d’acqua, ma questo non ha scoraggiato nessuno. Alle 19, mezz’ora prima dell’inizio ufficiale, la chiesa di Santa Maria in Trastevere, storica sede di Sant’Egidio, era già piena. Giovani e adulti, scout, suore, barbe e passeggini, qualche politico mimetizzato in t-shirt, qualche professionista in giacca e cravatta, appena uscito dall’ufficio.
Fuori della Chiesa i ritardatari sulle sedie inzuppate dalla pioggia, poche telecamere, un paio di giovani con la kefiah. Dentro la chiesa lo splendore dei mosaici di Pietro Cavallini, con al centro Cristo e sotto di lui Betlemme e Gerusalemme. Nuovo e Vecchio Testamento. Ma anche, oggi, Palestina e Israele.
Non è la prima volta che realtà molto diverse della galassia cattolica si trovano per iniziative comuni. In questo caso da un lato le parole chiare del Papa, dall’altro l’evidenza di quanto sia disumano quello che si sta consumando a Gaza (e che si annuncia in Cisgiordania) sono state un richiamo immediato.
Il cardinale Bassetti, che ha guidato la veglia, ha sottolineato l’importanza dell’essere insieme, anche perché all’interno degli stessi gruppi e movimenti ci sono a proposito sensibilità diverse. Poi, dopo le preghiere, ha parlato in collegamento video il cardinale Pierbattista Pizzaballa.
In questi giorni il patriarca di Gerusalemme dei Latini ha tenuto viva in Occidente la consapevolezza di quanto avviene in Palestina con molti interventi in eventi e trasmissioni. Ma questa volta la sua testimonianza è parsa particolarmente sofferente. Ha ripetuto che l’odio ha generato la violenza e la violenza l’odio, in un circolo vizioso diabolico.
E, da uomo realista, che vive da trentacinque anni in quella terra, ha ammesso che non vede una soluzione alle porte, ma nemmeno all’orizzonte. Ma poi, quasi sottovoce, ha aggiunto, con la certezza delle fede, che “verrà il momento in cui il linguaggio del potere, della forza fallirà, tutto questo castello di violenza crollerà”.
La veglia è stato un deciso gesto di fede. Lo aveva chiarito già all’inizio Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. Introducendo la serata aveva citato Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, che per molti anni scrisse decine e decine di lettere ai conventi di clausura chiedendo preghiere per sé e le sue cause. Oggi queste lettere sono raccolte in un volume che si intitola La preghiera forza motrice della storia, edito da Città Nuova.
Ora, mentre Impagliazzo diceva queste cose, migliaia di civili morti a Gaza, deportazione di un intero popolo, gli ostaggi torturati da Hamas e violenza in molti di altri conflitti, a partire dall’Ucraina (tutte cose non dimenticate neppure nella veglia di Sant’Egidio). Ma senza andar così lontano, intorno a Santa Maria in Trastevere continuava la movida, fatta di ragazzi allo sballo e turisti americani che mangiano inconsapevoli e chiassosi a tutte le ore nei dehors all’aperto.
Karl Löwith, nel suo studio più importante, Significato e fine della storia, diceva che tutte le volte che si tenta un discorso sulla storia “si mozza il respiro”, perché “il fatto più importante da cui può procedere… è l’esperienza del male e del dolore prodotta dall’agire storico”. Pregare per muovere la storia: chissà che significa averne davvero consapevolezza. Ma comunque ieri in molti l’hanno fatto.
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