Nell’omelia per la dedicazione di San Giovanni in Laterano, il Papa ha richiamato il senso vero della liturgia. Un appello a recuperare il cuore della fede
“Vorrei, infine, accennare a un aspetto essenziale della missione di una Cattedrale: la liturgia. Essa è il ‘culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e […] la fonte da cui promana tutta la sua energia’ (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 10). In essa ritroviamo tutti i temi cui abbiamo accennato: siamo edificati come tempio di Dio, come sua dimora nello Spirito, e riceviamo forza per predicare Cristo nel mondo (cfr ibid., 2)”.
“La sua cura, pertanto, nel luogo della Sede di Pietro, dev’essere tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità di chi partecipa, secondo il principio di una sapiente inculturazione (cfr ibid. 37-38) e al tempo stesso nella fedeltà a quello stile di solenne sobrietà tipico della tradizione romana, che tanto bene può fare alle anime di chi vi partecipa attivamente (ibid., 14). Si ponga ogni attenzione affinché qui la bellezza semplice dei riti possa esprimere il valore del culto per la crescita armonica di tutto il Corpo del Signore. Sant’Agostino diceva che la ‘bellezza non è che amore, e amore è la vita’ (Discorso 365, 1). La liturgia è un ambito in cui questa verità si realizza in modo eminente; e mi auguro che chi si accosta all’Altare della Cattedrale di Roma possa poi partire pieno di quella grazia con cui il Signore vuole inondare il mondo (cfr Ez 47,1-2.8-9.12)”.
Con queste parole papa Leone XIV ha concluso l’omelia di domenica scorsa, festa della dedicazione della basilica lateranense. Sulla liturgia sono stati fatti grandi studi e scritti diversi contributi. Spesso è diventata anche terreno di battaglia e laboratorio delle varie correnti di pensiero più o meno illuminate, mostrando così tutta la sua preziosità e fragilità.
Il richiamo del papa, però, approda al desiderio di Dio di inondare il mondo con la sua grazia. Questa, in effetti, è la vera ragione di ogni azione liturgica in cui il protagonista non è chi celebra o chi vi partecipa, ma Colui che vi agisce rendendosi presente e raggiungendo tutti coloro che sono disposti a lasciarsi coinvolgere.

La cura per la liturgia, dunque, è certamente compito di chi la prepara in modo “tale da potersi proporre ad esempio per tutto il popolo di Dio, nel rispetto delle norme, nell’attenzione alle diverse sensibilità di chi partecipa, secondo il principio di una sapiente inculturazione”, ma soprattutto di chi la accoglie. Parole, gesti, riti, profumi, colori, canti, tutto può essere pensato al meglio, ma non può sostituire la personale disponibilità a lasciarsi smuovere da ciò che si celebra.
“La liturgia è un’esperienza protesa alla conversione della vita tramite l’assimilazione del modo di pensare e di comportarsi del Signore” ebbe a ricordare papa Francesco in un suo discorso alla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 14 febbraio 2019.
Questa sfida è ciò che rende ragione del fatto che la liturgia venga celebrata ogni giorno, più volte al giorno, tutto l’anno, per mendicare il cambiamento e l’assimilazione a Cristo di cui abbiamo bisogno tutti. Dobbiamo, infatti, fare sempre i conti con il nostro male, con la nostra insistente manìa di rimpiazzare il metodo di Dio con il nostro. Che lontananza c’è, per esempio, dalle ragioni per cui il popolo di Dio viene convocato in assemblea e un certo modo di trattarsi. Uomini e donne battezzati, fieri della propria fede, che si accostano ai medesimi sacramenti, possono arrivare a sbranarsi tra di loro.
Vengono alla memoria le parole drammatiche di Benedetto XVI contenute nella lettera che indirizzò ai vescovi il 12 marzo 2009: “‘Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!’ (Cfr Gal 5, 13-15). Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo ‘mordere e divorare’ esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore?”.
Possiamo passare anni a partecipare all’azione liturgica della Chiesa, a curarne i dettagli, a rimpiangerne gli antichi stili o a improvvisarne di nuovi, senza che nulla ci smuova nell’intimo, e lo vediamo da come affrontiamo la realtà. Per questo, ogni volta che si celebra la s. Messa, la liturgia ci fa sempre iniziare con l’atto penitenziale. Che ci sia data veramente la grazia di una vita che parli, senza bisogno di parole vuote, di quella Presenza sempre in cammino verso di noi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
