Trenta giorni di lockdown rigido e ferreo contro la variante Delta e zero nuovi casi di infezione registrati: così la Cina ha arginato il dilagare della mutazione ex indiana, dal momento che i dati diramati dalla National Health Commission cinese rivelano che, per la prima volta da luglio, nella Repubblica Popolare non si sono registrati nuovi casi di Coronavirus trasmessi localmente.
Come riporta “Il Corriere della Sera”, nel Paese del Dragone non sono state consentite deroghe alla chiusura di alcun tipo, ma si tratta di “un tipo di approccio difficilmente applicabile in Italia e nei Paesi occidentali in generale”, stando a quanto affermato da Paolo Bonanni, epidemiologo e professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze. “Ovviamente – ha proseguito – nessuno di noi forse è in grado di capire le differenze nelle modalità di applicazione di queste misure estreme nei diversi Paesi. Sospetto che in Cina l’intensità del lockdown e le misure che vengono prese siano particolarmente severe e poco discutibili dalla popolazione. Quindi, mi sembra che sia un modello poco facilmente esportabile in Paesi occidentali. Loro sono abbastanza drastici e impongono obblighi che probabilmente da noi sarebbero inaccettabili”.
CINA, LOCKDOWN SEVERISSIMO E CONTAGI GIÙ: NON TUTTI I PAESI SONO D’ACCORDO
Ricordiamo che la Cina era alle prese con la diffusione della variante Delta dal 20 luglio, quando fu rilevato un gruppo di infezioni da Covid-19 tra il personale addetto alle pulizie degli aeroporti nella città di Nanchino. Da quel momento, rammenta anche “Il Corriere della Sera”, la mutazione si è diffusa in oltre metà delle 31 province del Paese, infettando più di 1.200 persone. Le autorità locali hanno risposto “ponendo decine di milioni di residenti sotto stretto isolamento, lanciando massicce campagne di test e tracciamento e limitando i viaggi nazionali”.
Un esempio che ha funzionato e che è stato seguito da altri Paesi, tra cui Singapore, Australia e Nuova Zelanda, dove, tuttavia, i nuovi focolai guidati dalla variante Delta stanno spingendo alcuni di questi Stati a ripensare il loro approccio. Infatti, c’è la volontà di imparare a convivere con il virus, che passa, giocoforza, dal vaccino: “L’atteggiamento di coloro che rifiutano i vaccini – a detta del professor Bonanni – è assolutamente irragionevole, oltre che irrazionale. Bisogna far comprendere che la vaccinazione è un atto di responsabilità innanzitutto verso se stessi e poi verso la comunità intera. Se si arriverà a un obbligo, sarà proprio perché nella vaccinazione c’è un aspetto sociale che non si può negare in questo momento”.