Il patto del diavolo proposto da Xi Jinping: mille miliardi di investimenti per addomesticare Trump e rendere gli Usa dipendenti dalla Cina
Un cavallo di Troia sta risalendo il Potomac verso Washington. Infatti secondo un report di Bloomberg del 3 ottobre 2025 in vista dell’incontro APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) in Corea a fine ottobre, la Cina, mescolando opportunismo e denaro, avrebbe offerto investimenti per un trilione di dollari (1.000 miliardi) agli USA.
Un vero patto del diavolo, poiché la contropartita sarebbe: una diminuzione delle restrizioni agli investimenti cinesi negli USA, una riduzione dei dazi e anche un possibile passo indietro dell’amministrazione Trump su Taiwan.
Anche se i termini dell’offerta sono ancora incerti, perché inseriti in un panorama più ampio di negoziati, Donald Trump ha già fornito una prima parziale risposta. Trump infatti ha annunciato, di nuovo, dazi al 100% per la Cina. Non prima di aver confermato l’impegno a far rispettare gli accordi esistenti dal 2020.
Probabilmente Trump non accetterà. Tuttavia questa mossa arriva in un contesto di tensioni crescenti, con dazi USA elevati e ritorsioni cinesi, e rivela tutto il machiavellismo di una autocrazia che valuta libertà e sovranità di un popolo solo su basi economiche.
Ma usciamo dalla cronaca: tutto il denaro offerto non ripagherebbe mai il danno procurato. Senza contare che il Congresso potrebbe bloccare, col meccanismo del CFIUS (Comitato sugli investimenti esteri) le operazioni, visto il possibile aumento di influenza cinese negli Stati Uniti. I danni maggiori per gli USA arriverebbero dall’esterno.
L’offerta cinese non è denaro, ma cicuta. Vorrebbe dire controllo dei porti, spionaggio nelle fibre ottiche, influenza sulle banche. Il problema è che la lezione dei porti di Panama non è bastata, e a Washington hanno la memoria di un pesce rosso.

Se accettata, l’offerta cinese scatenerebbe una Caporetto tra gli alleati USA a partire dall’Indo-Pacifico. Si direbbe “Se Trump ha svenduto Taiwan per un’America più ricca, figuriamoci cosa succederà a noi”. Per Pechino sarebbe un capolavoro geopolitico. Avrebbe Taiwan senza le armi e rafforzerebbe molto anche la tenuta interna.
In questa ottica la Cina sarebbe un moderno Creso che, offrendo investimenti, sprona gli USA ad emulare il suo comportamento, di considerare il denaro al di sopra delle regole e delle alleanze. Se Taiwan fosse barattata con investimenti, l’America nella storia non sarà più leader del mondo libero, la superpotenza delle opportunità, ma quella dell’opportunismo, caduta per la sua avidità, ingannata da un miraggio che ne ha minato le fondamenta. La sovranità sarebbe ceduta in affitto con un contratto depositato a Pechino.
Il fatto che l’amministrazione Trump abbia diffuso la notizia alla vigilia di un importante appuntamento internazionale apre anche ad un altro scenario. L’offerta potrebbe nascondere una posizione debole cinese. Con questa offerta il furbo Dragone cerca di sfruttare la sua crisi mutandola in una leva geopolitica. Inventa una sorta di piano Marshall al contrario: invece di investire il trilione all’interno, lo offre all’America. Non per arricchire gli USA, ma per legarli a sé. Per assicurarsi l’interesse americano a sostenere la Cina. Un legame così forte che impedirebbe future guerre commerciali contro la Cina stessa.
Concludendo, la furba mossa cinese non sarebbe solo propaganda alimentata dalla disperazione strategica. Sarebbe l’all-in di un giocatore esperto con una mano debole che compie un unico gigantesco bluff. Per indurre l’avversario ad abbandonare un alleato e legarlo con una dipendenza strutturale che gli garantirebbe influenza e stabilità esterna con compensazione della fragilità interna.
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