Giù al nord (titolo italiano di Bienvenues chez les Chtis), la matrice da cui Luca Miniero, Claudio Bisio e Alessandro Siani hanno tratto Benvenuti al sud e relativo, imminente seguito, è stato il film francese più visto di sempre, in patria e nel mondo, con 120 milioni di euro solo dal mercato casalingo. Eredità pesantissima da raccogliere per il regista e interprete Dany Boon, che ad anni di distanza ripropone un canovaccio simile nel suo nuovo film, Niente da dichiarare?. Ma questa volta loperazione non dà i frutti desiderati.
Il film è ambientato tra il 1992 e il 1993, quando lentrata in vigore dellEuropa unita eliminerà le dogane fisse: è un momento di crisi per i due doganieri Ruben, belga aggressivo e razzista verso i dirimpettai francesi, e Mathias, francese e innamorato segretamente della sorella di Ruben. Per cercare di risolvere la situazione e rendere accettabile il matrimonio, Mathias decide di fare coppia col rivale nella sperimentazione della dogana mobile. Con tutte le difficoltà rocambolesche del caso.
Film comico, commedia sentimentale, thriller allacqua di rose, ma soprattutto satira del razzismo interno (un remake italiano potrebbe riguardare la Lega e la secessione padana, per intenderci) che la sceneggiatura del regista sembra trasportare in un clima da cinema anni 50, fuori tempo massimo e poco efficace. Infatti, tutta la pellicola si basa su una rivalità da barzelletta tra la compostezza e la bonarietà del francese e lirruenta arroganza mista a goffo razzismo del belga (non è difficile capire per chi tifi il regista e autore), tratteggiata in maniera così netta, rozza e ridanciana da non poter essere mai presa sul serio come riflessione sulle mini guerre civili, spesso fatte di becere parole, di cui ogni cultura e nazione si ciba dalla notte dei tempi e che nessuna unità politica potrà arginare.
Boon crede in ciò che dice e vorrebbe ci credesse anche lo spettatore, dando alla commedia una patina noir con rarissimi momenti di durezza; ma non colpisce mai nel segno, sia perché i lati oscuri vengono smorzati immediatamente nella farsa o nelloblio (incredibile che la mania di Ruben di sparare agli stranieri venga sanzionata al massimo con bonarie occhiate di reprimenda), sia perché il lato comico è grossolano e stantio.
Colpa principalmente di una sceneggiatura tagliata con l’accetta, piena di sotto-trame accessorie e sul filo della stupidità, che ricicla situazioni e gag anche linguistiche dal precedente film del regista, ma anche di una messinscena che, sorprendentemente, pare disinteressarsi al ritmo comico o alla struttura (fiori all’occhiello di Giù al nord) per dedicarsi a qualche schermaglia verbale di basso profilo o a più riuscite, ma pleonastiche, sequenza d’azione.
Ne fanno le spese, oltre alle ambizioni, anche la recitazione dei protagonisti Boon e Benoît Poelvoorde, assi della commedia d’Oltralpe, qui costretti a battibecchi survoltati, a battute spente (ancor più scipite per via del doppiaggio), a caratterizzazioni sul filo dell’avanspettacolo. Che forse funzionavano quando a farle era Louis de Funès, ma oggi lasciano decisamente il tempo che trovano.