Dopo la presentazione favorevole nella sezione Orizzonti dellultima mostra del cinema di Venezia, è uscito nelle sale italiane Malavoglia, il nuovo film di Pasquale Scimeca (Placido Rizzotto) che rilegge in chiave libera e contemporanea il celebre romanzo di Giovanni Verga ambientato nella Sicilia dei pescatori.
Il film racconta, come prevedibile, della sfortuna della famiglia Malavoglia e della loro barca peschereccio la Provvidenza, di come accolgono il clandestino Alef e soprattutto di come affrontano la loro povertà, a maggior ragione dopo la morte di Bastianuzzo, il capo-famiglia. Da una parte Ntoni che cerca in un certo senso di rinnegare leredità del padre e gli insegnamenti del nonno, dallaltra Maruzza che comincia a impazzire, nel mezzo gli altri che simpegnano allo stremo per risollevare le sorti della famiglia.
Scimeca, anche sceneggiatore con Nennella Buonaiuto e la collaborazione di Tonino Guerra, trasporta ai giorni nostri il romanzo dandogli da subito le stimmate della contemporaneità (limmigrazione sulle coste sicule, il digitale) per realizzare un film curioso che mette insieme stili e scelte filmiche e narrative apparentemente inconciliabili.
Aperto dallintroduzione romanzesca che fa da prologo a cinque minuti iniziali fatti di riprese semi-amatoriali mescolato a immagini nitide e livide, il film riflette sui concetti di integrazione e disintegrazione e su come essi si confrontino nella nostra società: da una parte, lintegrazione sociale e culturale di una nazione di frontiera come la nostra, che da sempre si è confrontata con invasioni barbariche, belliche o umanitarie e che ha costruito il proprio humus sullibrido; dallaltra, la disintegrazione del nucleo familiare sia nel senso allegorico già presente nellopera verghiana, ma anche nella nuova e più solare variante della ricombinazione, come suggerisce lo speranzoso epilogo.
Scimeca ha così una forte motivazione concettuale per giocare e manipolare svariati materiali, il digitale e la pellicola, la macchina a mano e la composizione dell’inquadratura (ottima fotografia di Duccio Cimatti), le immagini di repertorio e la ricostruzione, la musica elettronica e quella tradizionale (score di Alfio Antico), costruendo l’integrazione anche sul versante stilistico.
La sceneggiatura si concede alcune interessanti libertà rispetto all’originale, ma pecca nella superficialità con cui si confronta col presente e con i giovani; Scimeca invece non teme il confronto con un pilastro come La terra trema di Visconti e decide di giocare su un altro tavolo. E, pur con qualche limite di messinscena, riesce a creare un film interessante, avvincente, curioso e ben calibrato che si avvale – come il maestro milanese de Il Gattopardo e Rocco e i suoi fratelli – di attori non professionisti di ottima caratura, con qualche aguzzo veterano della recitazione siciliana.