Enrico Bertolino è stato il protagonista del secondo appuntamento di One man show, le serate di Rai Due dedicate ai comici italiani. La seconda rete Rai ha trasmesso Passata è la tempesta; dal teatro civico Toselli di Cuneo, Enrico Bertolino è padrone di casa di uno spettacolo che si interroga, tra satira e ironia, sui motivi che hanno portato l’Italia nello stato attuale. La domanda della serata è appunto una sola: “Passata è la tempesta?”. E nel pieno stile degli “stand up comedian” americani, il comico si esibirà in monologhi durante i quali avrà l’accompagnamento del maestro Teo Ciavarella, unico supporto agli esilaranti discorsi del padrone di casa di questa sera. L’apertura, da parte del comico, è di rammarico: “sono triste perché sono venuti a mancare i principali comici dello stato”. E il riferimento è a Berlusconi e a tutto il Pdl, del quale mostra una diapositiva raffigurante l’ex ministro Brunetta dormiente in parlamento: “lui era ad esempio uno che se la prendeva con noi perché diceva che eravamo bugiardi. Ma non siamo noi ad essere bugiardi, è lui ad essere pirla di suo. E ci riusciva facile”. Ma come ogni monologo satirico che si rispetti, non può tralasciare quello che Bertolino definisce “il capo comico”. “Noi lo rispettiamo”, spiega ai microfoni Enrico, e per questo tributiamo lui alcuni video dove dice delle cose che noi ci metteremmo anni a scrivere. Delle immagini campeggiano e mostrano Silvio Berlusconi pronunciare alcuni frasi che appaiono fuori luogo e incomprensibili. A lui poi Bertolino dedica “Ci manchi”, canzone che, parafrasando Fausto Leali, chiede all’ex premier di ritornare a dare vitalità a uno parlamento che Monti ha reso, a suo dire, “monotono e depressivo”. Scatta il paragone tra l’Italia attuale e quella medievale, dove il comico racconta: “se qualcuno raccontava una ca..ata veniva bruciato vivo. Ma se avvenisse oggi, non avremmo bisogno del nucleare: ci scalderemmo solo con le persone che si infiammano per le minchiate dette”. Da questo punto di vista Bertolino trova aggancio per parlare di Europa: “dovevamo capirlo da subito che era una fregatura”. E tirando fuori una moneta da un Euro, mostra l’uomo Vitruviano sul retro: “un uomo dietro un altro uomo nudi. Dovevamo capire dove andavano a parare”. Accompagnato dal maestro Ciavarella, si esibisce in un suo rifacimento di “Volare” di Modugno, che con lui diventa “Tassare” e parla di IMU, BOT, e altre tasse. Dell’italiano medio, argomento successivo dei suoi monologhi, Bertolino ha una sua idea che mischia ironia a una vena celata di amarezza: “per il cittadino medio la politica è sprecare il presente per sperare il futuro rimpiangendo il passato”. E questa definizione “filosofica” del concetto riscuote un applauso sentito del pubblico. Nel suo percorso Bertolino non risparmia nemmeno il governo tecnico e il papa. Del primo dice che “è come chiamare i tecnici in casa: arrivano per risolvere un problema di impianti e sanno solo dire parole tipo ‘hai signora!’ Qui la situazione è grave e c’è da pagare”. Riguardo al Papa, chiedendo scusa in anticipo, si dilunga spiegando che i suoi consigli poco ovvi dovrebbero essere frutto di una revisione. Nei momenti a seguire poi il comico non tralascia frecciatine per nessuno, a partire da Prodi, per continuare con Fassino, le “scorribande” della Santanché e tutti i vizi del parlamento italiano. Poi il comico si diverte a cercare, assieme al pubblico, un inno appropriato per rappresentare l’Italia: il momento nasce apposta per sbeffeggiare il fatto che, durante gli europei, la nostra canzone nazionale sia stata definita noiosa. Cercando di smentire con ironia questa tesi, Bertolino poi proporrà un’alternativa valida per “restaurare” la canzone di Mameli. E si produce in una versione di “Viva Topolin” che ipotizza un incontro tra Obama e Bersani. Quest’ultimo viene descritto come Paperino, e la domanda che più assilla Bertolino è come faccia il presidente degli Stati Uniti a comprendere il linguaggio “da Paperino” del politico. E dopo questo viaggio attraverso l’inno, parla anche di comunicazione, spiegando come, una volta, fosse molto differente: “adesso dopo tre anni di un rapporto sentimentale, tra cellullari, iPhone e tutto il resto, ci si è sfrantumati i c….; non si ha più niente da dire. E’ un modo di vivere assurdo. Quando lui torna a casa, lei non sa più cosa chiedergli: cinque giorni su sette lo stesso disco”. Il monologo continua decantando l’inutilità di fare la spesa insieme: “mio padre e mia madre non facevano mai la spesa insieme: almeno c’era qualcosa di cui discutere quando si presentavano a casa con qualcosa che avevano comprato”. Continua alla pagina seguente.
Alla fine del suo excursus tra le colpe della crisi italiana, che hanno fatto da filo conduttore lungo tutta la puntata, le conclusioni del comico sono queste: “non è colpa di Monti, né di Berlusconi, né del dialogo. E’ colpa nostra, che dobbiamo adottare uno stile di vita vincente. Io l’ho fatto,e funziona cosi: dobbiamo essere forti e non piangere mai, se no la società bastarda ci mette i piedi in testa. Invece noi, se perdiamo il lavoro a 50 anni, dobbiamo ridere e pensare, ne trovo un altro. E se per il lavoro perdo la donna, sempre a 50 anni, devo pensare che per ogni uomo ci sono 7 donne. E se le nostre sono in Lapponia, andiamo a trovarle ridendo”. I consigli del padrone di casa sono tra i migliori, ma hanno un piccolo problema: mentre li da infatti, anche lui comincia a piangere. E per finire in bellezza e risollevare il morale, prova ad “autoraccontarsi” una barzelletta, che fa sorridere lui e il pubblico prima del saluto finale.