Dopo un primo anno transitorio, Marco Muller è alla prova del nove con il Festival Internazionale del Film di Roma: potrebbe essere lultimo, ma di sicuro il direttore artistico cerca di far interagire le due anime della manifestazione, quella di festival che ricerca linguaggi, autori e parti del mondo sconosciute, e quella di festa, che attira il pubblico con film di ampio respiro e grandi nomi. Una schizofrenia addomesticata ma non domata, di cui il cinema ha bisogno, lha definita Muller, e questo è lottava edizione del festival, aperto da Lultima ruota del carro di Giovanni Veronesi e chiuso dal kolossal cinese The White Storm di Benny Chan.
Un concorso ricco di sguardi curiosi e affascinanti, che oltre i quattro film in lingua inglese già annunciati (Dallas Buyers Club, Her, Another Me e Out of the Furnace), allinea tre curiosi film italiani, tutte opere seconde: I corpi estranei di Mirko Locatelli, Take Five di Guido Lombardi e Tir di Alberto Fasulo, film che scavano il reale tra documento e romanzo, confermando una fortissima tendenza del nostro cinema, con cui anche il pubblico sta cominciando a fare i conti.
Interessante poi la poliedricità geografica dei film, con opere davvero da tutto il mondo e da ogni continente, con un occhio di riguardo per il Giappone di Kurosawa Kiyoshi (Seventh Code) e di Miike Takashi (The Mole Song), questultimo anche fuori concorso con il mediometraggio Blue Planet Brothers.
Ed è proprio il fuori concorso a riservare gioie ai cinefili di ogni tipo: The Hunger Games parte seconda per i teenager, i premi alla carriera a Tsui Hark e Aleksei German (questultimo postumo) con la presentazione dei loro ultimi film, e poi una serie di grandi chicche, da Il Paradiso degli orchi da Pennac a Las brujas de Zugarramurdi di Alex De La Iglesia, dal già cult Gods Behaving Badly (dei che si trasferiscono a Manhattan) a The Green Inferno di Eli Roth, da Davide Ferrario che con La Luna su Torino dà una sorta di seguito a Dopo mezzanotte ai Manetti Bros. di Songe Napule con il colpo dellatteso Snowpiercer, blockbuster dautore firmato a Hollywood dal grande sud-coreano Bong Joon-ho. E non manca nemmeno Wes Anderson, con un corto dal titolo Cavalcanti dedicato al grande regista inglese degli anni 40. Per tutti i gusti, e anche oltre.
Per i più curiosi poi cè CinemaXXI, la sezione del festival dedicata al cinema espanso, alle opere sperimentali e ai formati che oltrepassano le soglie del cinema convenzionale. Una sezione, figlia degli Orizzonti veneziani, che ha preso il posto degli Extra della gestione Detassis e che presenta un gruppo di film di vario metraggio lungo, medio e corto – che rappresentano lavanguardia del cinema contemporaneo. Apre Lamministratore di Vincenzo Marra, documentario di uno dei pionieri del nuovo cinema del reale italiano, e chiude The Seventh Walk di Amit Dutta, che sintetizza uno dei temi principali della sezione, quello del rapporto tra le arti come cinema, pittura e musica.
Caratteristica principale di questa edizione 2013 di CinemaXXI, che dà un senso all’utilizzo del Museo delle Arti del XXI secolo di Roma, è proprio l’intersezione di opere che con le arti e i linguaggi giocano, a partire dal presidente di giuria Larry Clark, fotografo prima che cineasta. Quasi tutti i registi che partecipano vengono dal teatro, dalle arti visive, dal cinema elettronico e condensano nel cinema queste esperienze: da Fear of Falling di Jonathan Demme (che terrà anche una masterclass) a Little Feet di Alexander Rockwell, da Racconti d’amore di Elisabetta Sgarbi aBeautiful New Bay Area Project di Kiyoshi Kurosawa.
Ampia la presenza italiana soprattutto nei corti e nei mediometraggi (selezionati da Paolo Moretti), segno evidente di una vitalità che nell’indipendenza trova un vero e proprio spiraglio di creatività, e da segnalare anche la celebrazione del centenario del cinema indiano. Una selezione ricchissima, come un vero e proprio festival a sé stante, dedicato a tutti gli spettatori curiosi di scoprire il cinema che non si vede da nessun’altra parte.
Amatissima sezione, sebbene collaterale, Alice nella città taglia il traguardo delle 10 edizioni: un numero importante che gli organizzatori della sezione parallela e autonoma del festival di Roma dedicata ai ragazzi sfruttano per rilanciarsi e rafforzare la propria identità pensando al futuro, a una manifestazione che non si concentri solo durante i 10 giorni di festival, ma che veda quei 10 giorni come punto d’arrivo di un percorso annuale. E nel pensare al rilancio, Alice nella città porta nove film in concorso, più due a sorpresa da annunciare, provenienti da ogni parte del mondo e attenti alle sensibilità cinematografiche della giovane età. Ad aprire la sezione, fuori concorso,Planes, il cartone animato Disney spin-off di Cars.
Tre i film italiani selezionati: due in concorso, Il sud è niente di Fabio Mollo, opera prima molto ben accolta al festival di Toronto, e Se chiudo gli occhi non sono più qui di Vittorio Moroni con Giuseppe Fiorello, e uno fuori, Il mondo fino in fondo, esordio di Alessandro Lunardelli con un cast ricco, da Filippo Scicchitano a Barbora Bobulova. Oltre a Planes, l’animazione ha sempre un ruolo importante, come dimostrano i due eventi in collaborazione con il festival, Futbolìn, del regista premio Oscar Juan Josè Campanella, e My Mommy Is in America, ma sempre agli amanti dell’animazione si rivolge Belle et Sébastien, tratto dall’omonimo anime anni ‘70/’80. Ma non mancano documentari d’eccezione come School of Babel di Julie Bertuccelli e Who Is Dayani Cristal? di Gael Garcìa Bernal. L’omaggio a un regista importante questa volta si dedica a Kore’eda Hirokazu, regista premiato a Cannes per Like Father Like Son che verrà presentato al pubblico assieme a I Wish.
Un programma ricco e schizofrenico, ma mai come stavolta l’aggettivo ha un sapore positivo e curioso.