Il secondo appuntamento di Servizio Pubblico Più, la versione estiva del talk di Michele Santoro, arriva dopo una prima puntata svolta attorno alla presunta trattativa Stato-mafia e punta tutto in Vaticano per la seconda. Attraverso presunte rivelazioni scottanti di un cardinale che ha voluto preservare lanonimato (si veda il carabiniere anonimo con la voce modificata di settimana scorsa), uninchiesta giornalistica mira a risolvere il rebus attorno ai veri corvi che infestano la Chiesa. Forse basterebbero poche note per intuire la tonalità che scandisce la prima serata di La7, quando ad aprire il sipario sullo studio di Cinecittà è il brano Dies Mercurii I Martius, confezionato da Hans Zimmer (che da anni compone le colonne sonore di film di successo, da Il Gladiatore agli ultimi tre episodi di Batman) per la rappresentazione cinematografica de Il Codice da Vinci. E sebbene la tentazione sia di cambiare canale, è vero il bello deve ancora venire.
Un Santoro vaticanista introduce levento, annunciando che «forse cè una chiave che porta a comprendere le dimissioni di Ratzinger e che «il movente è la divisione tra protestanti e cattolici: la figura del sacerdote. Secondo il conduttore, «Ratzinger avrebbe cercato di riportare la Chiesa alla sua missione, ma le cordate lhanno ostacolato. E – sempre secondo Santoro – se papa Francesco continuerà a guidare la Chiesa come ha dimostrato dalla sua elezione, «magari i preti potranno sposarsi e le donne diventare preti, e forse si tornerà alle origini, al cristianesimo dei poveri. Dunque in primis afferma che Benedetto XVI avrebbe voluto riportare la Chiesa verso la propria missione, poi che le cordate hanno voluto eliminarlo, e infine che papa Francesco – continuando lopera di Ratzinger – vorrebbe aprire al matrimonio dei preti e alle donne prete. La logica sfugge, ma sarebbe crudele rompere lincanto di Santoro, vaticanista per cinque minuti.
Linchiesta si concentra sul giallo di Vatileaks, che sarebbe iniziato molti anni fa, quando negli ultimi mesi di vita di Giovanni Paolo II monsignor Stanislaw Dziwisz ha deciso di conservare larchivio personale del Papa polacco, invece di bruciarlo secondo le sue intenzioni. Le prime ombre iniziano ad aleggiare sul Vaticano, ma la narrazione è interrotta da alcuni servizi di testimonianze dirette su abusi e comportamenti sessuali impropri di sacerdoti, tra vittime intervistate e presunti festini di sacerdoti a base di sauna, bagno turco ed escort. Nel mezzo proliferano le confessioni anonime del cardinale, interpretato da un attore, che racconta la carriera di Paolo Gabriele, il corvo del Vaticano: dopo le medie avrebbe viaggiato per dieci anni con la ragazza che poi sarebbe diventata sua moglie, e avrebbe incontrato Gesù attraverso Comunione e Liberazione, che poi lavrebbe aiutato a entrare a lavorare in Vaticano e a fare carriera.
Oltre alle cosiddette rivelazioni scottanti sul corvo, nella trama interviene anche lo Ior – la banca del Vaticano -, con corredato di indiscrezioni su conti di mafiosi, faccendieri, criminali e quant’altro. E così il pot-pourri si mescola per bene, in modo da sballottare lo spettatore da un abuso alle dietrologie dei giornalisti, fino alla tresca tra Angelo Baldinucci e il corista di San Pietro, uniti per party omosessuali organizzati in alcuni appartamenti di Roma.
A conclusione di un continuo zapping di montaggio per confondere il telespettatore, tale da alternare il coinvolgimento emotivo con alcune vittime di abusi e le malelingue sulle correnti vaticane, ecco sopraggiungere la soluzione del giallo. Alla domanda recitata dal giornalista, il cardinale anonimo interpretato risolve il rebus di Vatileaks: Paolo Gabriele, infatti, non consegnava i documenti solamente a Nuzzi, bensì anche a prelati e persone a lui vicine, tra cui monsignor Stanislaw Dziwisz. Lo scandalo, infatti, sarebbe stato orchestrato da quest’ultimo, dai wojtyliani e da Comunione e Liberazione, per far eleggere il cardinale Angelo Scola al soglio pontificio. Sapevano infatti che Benedetto XVI voleva lasciare e ciò avrebbe portato la cordata a promuovere Scola: «Ma noi l’abbiamo impedito, abbiamo eletto il Papa dei poveri».
Forse la sofferenza delle vittime di abusi sessuali meriterebbe più rispetto, invece di essere uno strumento per accendere le emozioni dei telespettatori e poter ritagliare il giallo su prove non esistenti e nessi logici mancanti. E il dramma di chi ha subito violenze, da preti o laici che siano, dovrebbe cercare un conforto più profondo dell’obbiettivo della prima serata. Allora si eviterebbe che le ferite della Chiesa alimentassero il loglio che imperturbabile vuole infangare per sede di potere, soldi e scandalo.
Così, concluso il “giallo”, come nemmeno un Cluedo, è sconfortante constatare che, dopo l’approdo per un anno sulla web tv e il passaggio a La7, Servizio Pubblico sia rimasto all’Anno Zero. Per quanto concerne il giallo, Arthur Conan Doyle ha scritto qualche raccolta e in materia era abbastanza esperto, tanto da lasciare certi consigli che forse i pataccari di Servizio Pubblico (che Più o meno è la stessa cosa) potrebbero studiare. Innanzitutto, al vaticanista conduttore gioverebbe conoscere il «tocco supremo dell’artista»: «sapere quando fermarsi». E forse anche a ciò che rimane di una redazione, converrebbe ricordare che «alcuni fatti andrebbero soppressi o, quantomeno, trattati con un giusto senso delle proporzioni», soprattutto se poco credibili, illogici o alquanto risibili: infatti fare dei fatti un pot-pourri contraddice un terzo assunto, secondo cui «due fiumi possono avere la stessa sorgente, eppure possono essere uno limpido e l’altro torbido».
Grazie a qualche suggerimento, magari, Servizio Pubblico potrebbe anche tornare a essere uno dei talk più interessanti del palinsesto, al posto di continuare a bersagliare sempre gli stessi per scopi politici e piegare ciò che è complesso in un armadio vuoto. E se proprio Conan Doyle fosse difficile da leggere, basta una frase di Churchill per chiarire il concetto: «Fanatico è colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento».