FESTIVAL DI VENEZIA 2013/ William Friedkin, un Leone doro “contro” le logiche di Hollywood

- Alessandro Pedrazzi, int. Alessandro Pedrazzi

Il regista americano William Friedkin sarà premiato il 29 agosto con il Leone d'Oro alla Carriera alla settantesima edizione del Festival di Venezia. Ce ne parla ALESSANDRO PEDRAZZI

Friedkin_WilliamR439 William Friedkin (Infophoto)

Al regista statunitense William Friedkin, classe 1935, verrà consegnato oggi il Leone dOro alla Carriera nel corso della 70a Mostra Internazionale dArte Cinematografica di Venezia. La cosa ha fatto storcere il naso a molti; storcere il naso e camminare come ragni giù dalle scale col sangue alla bocca. Ma cosa avrebbe fatto di tanto importante Friedkin, oltre ad aver girato LEsorcista (1973), semplicemente lhorror più acclamato di tutti i tempi, film nominato a 10 Oscar (incluso miglior film e regia) e che ne vinse uno per la sceneggiatura? Orbene, Friedkin è uno che sì, al cinema ha ottenuto successi discontinui, ma ha mantenuto una coerenza rispetto a una propria visione di fare cinema che non si piegasse (eccessivamente) alle necessità delle major, le quali, come noto, seguono spesso la logica del tanto a un chilo e sinteressano molto a progetti che sanno piacere al pubblico, dimentichi che il pubblico può anche essere educato alla visione, ma vabbé… Insomma, Friedkin per questa sua attitudine allonestà intellettuale artistica, che lo ha posto ai margini delle ricche produzioni hollywoodiane, riceve il premio poiché ha contribuito, in maniera rilevante e non sempre riconosciuta nella sua portata rivoluzionaria, a quel profondo rinnovamento del cinema americano, genericamente registrato dalle cronache dellepoca come la Nuova Hollywood, parole del Direttore della Mostra, Alberto Barbera.

Il regista accetta il premio con stupore, non avvezzo evidentemente a questi successi. Lumile Friedkin già una volta rimase sconvolto dal riconoscimento pubblico della sua grandezza artistica; il giorno dopo aver vinto lOscar per Il Braccio Violento della Legge (1971) si recò da uno psichiatra perché si sentiva profondamente infelice, giacché riteneva di non meritare quel premio. Il regista di Chicago, daltronde, è uno che, almeno agli inizi, le cose se lè dovute guadagnare attraverso la canonica gavetta.

La madre era uninfermiera ferrista, il padre, fra un lavoretto e laltro, non portò a casa mai più di 50 dollari alla settimana e morì indigente. Ancora adolescente, Friedkin si innamorò del cinema dopo la visione di Quarto Potere (1941) e dopo il liceo iniziò a girare qualche documentario per la WGN TV, e siccome il talento non mancava, già nel 1962, grazie a uno di questi documentari, vinse un Golden Gate Award. Nel 1965, salito di livello, divenne regista tv a Hollywood, dove diresse anche un episodio della serie Alfred Hitchcock presenta, occasione in cui si prese una ramanzina dal registissimo britannico per aver osato non indossare la cravatta sul posto di lavoro. Valli a capire certi geni.

Nonostante la sua regia asciutta (ma comunque non priva di dinamicità), distante dalle produzioni commerciali e dalle logiche del blockbuster a tutti i costi, Friedkin riuscì a fare breccia negli occhi del più ambio pubblico, prima con Il Braccio Violento della Legge (1971 e 5 Oscar) e poi con LEsorcista (1973), horror epocale ancora ritenuto fra i più inquietanti e comunque fra i più seminali, oltre al fatto che raramente lAcademy (così come altri premiatori) prendono in considerazione il vituperato genere horror come cinema darte.

Per il Friedkin del post-Esorcista, il terreno sarebbe dovuto essere tutto in discesa e, in effetti, il regista aveva già messo in cantiere un mega-fantascientifico che miscelasse alieni e Atlantide, progetto abortito dopo luscita di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977). I lavori successivi (Il salario della paura, 1977; la commedia Pollice da Scasso, 1978; Cruising, 1980; laltra commedia LAffare del Secolo, 1983) ebbero tutti accoglienza tiepida; adesso naturalmente è partita un grosso meccanismo di rivalutazione. Soprattutto Il Salario della Paura sembra godere di gloria postuma: rivisitazione del film Vite Perdute del regista Clouzot (adattamento del romanzo di G. Arnaud scritto nel 1950), verrà proiettato oggi a Venezia in forma restaurata prima della cerimonia di consegna del Leone dOro.

Con Vivere e Morire a Los Angeles (1985) il regista fece un bel colpo, però si beccò anche una denuncia da Michael Mann il quale sostenne in tribunale che il suddetto film fosse un plagio della serie TV da Mann ideata “Miami Vice” (1984)… e qualcosa c’è in effetti, ma Friedkin vinse la causa. Il suo ritorno all’horror (L’Albero del Male, 1990), atteso come poche cose fra gli appassionati ancora posseduti da Pazuzu, deluse le aspettative forse troppo elevate; la pellicola sarebbe stata accolta sicuramente meglio se alla regia ci fosse stato qualcuno che non avesse diretto l’Esorcista.

Comunque dalla fine degli anni ’90 pare che Friedkin sia tornato alla sua prima “azienda”, la TV, forse anche per la difficoltà a trovare finanziamenti per lungometraggi. Ritorno quindi alle produzioni per il piccolo schermo col dramma televisivo “La parola ai giurati” oltre che la regia di alcuni episodi di “CSI – Scena del crimine”. Non mancano nell’ultimo decennio regie teatrali per opere liriche, ad esempio nel 2004 ha diretto a Los Angeles “Arianna a Nasso” di Strauss, nel 2005 “Sansone e Dalila” di Saint-Saëns alla New Israeli Opera di Tel Aviv, e “l’Aida” di Verdi al Teatro Regio di Torino, per citare solo alcuni lavori. Dal cinema però Friedkin non è sparito: con Regole d’onore (2000) e The Hunted – La preda (2003) e Bug (2006) ha lasciato le sue impronte, benché non profondissime. L’ultimo tentativo fu Killer Joe (2012) con Matthew McConaughey ed Emile Hirs, presentato alla Mostra di Venezia nel 2011 e accolto con favore sia da critica sia da pubblico. E la sua carriera non si ferma…

Complimenti e auguri, quindi. Perché realizzi un altro successone immortale come L’Esorcista? No, l’augurio è quello di poter continuare a lavorare serenamente realizzando una propria visione artistica delle cose, senza troppo badare alle logiche di cassa. A noi, Friedkin, piace così. Per chi volesse approfondire: “The Friedkin Connection”, l’autobiografia, che la casa editrice Bompiani sta traducendo per il mercato italiano.





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