A voler seguire la contrapposizione tra le due idee di cinema emerse dalla stagione dei premi cinematografici, ieri sera al Dolby Theatre di Los Angeles l’arte (Birdman, un lungo piano sequenza dietro le quinte teatrali) ha battuto la vita (Boyhood, che segue la reale crescita di un ragazzo e della sua famiglia per 12 anni). Sembra una scelta coerente con un’istituzione, quella degli Oscar e dell’Academy of Motion Pictures and Arts, che ogni anno, da 87 anni celebra se stessa.
Ha vinto Birdman, il film di Alejandro Inarritu che dopo aver aperto la Mostra del Cinema di Venezia ha anche portato a casa il più ambito premio cinematografico del mondo, facendo bottino pieno e ottenendo anche i premi per la regia, per la sceneggiatura originale e per la direzione della fotografia di Emanuele Lubezki, al secondo Oscar consecutivo dopo la vittoria con Gravity. Boyhood, il film diretto e seguito amorevolmente per più di una decade da Richard Linklater, è stato sconfitto su tutti i fronti, tranne quello dell’attrice non protagonista, Patricia Arquette, premiata per un bellissimo ruolo di madre. Ma forse, parere di chi scrive, è pronto per restare nella storia e nella memoria degli spettatori.
La serata è stata una tradizionalissima nottata di cerimonie, ed è stato parzialmente deluso chi si aspettava uno show più rutilante grazie alla presenza di una star di Broadway alla conduzione come Neil Patrick Harris, che se l’è ben cavata soprattutto nel numero iniziale e nella parodia di Birdman, ma non è riuscito a spezzare la monotonia della premiazione, sensazione confermata anche dalle non troppe sorprese in termini di premi: per esempio, i quattro attori premiati hanno rispettato alla perfezione le previsioni.
Oltre ad Arquette, Eddie Redmayne protagonista per La teoria del tutto, Julianne Moore protagonista per Still Alice (finalmente premiata alla quinta nomination) e J. K. Simmons per Whiplash, film rivelazione della serata che ha vinto anche altri due premi, per il montaggio e il missaggio del suono. L’altro grande vincitore della serata è stato The Grand Budapest Hotel, il delizioso film di Wes Anderson che è stato la mina vagante di tutta la serata, portando a casa l’unico Oscar italiano dell’anno – a Milena Canonero per i costumi, quarta statuetta personale per lei -, oltre a quelli per trucco e hair-styling, scenografia e colonna sonora.
Nell’anno di biopic e delle storie vere, hanno trionfato i rari casi di storie inventate, di mondi creati dai registi e non ricreati, lasciando le briciole alle varie biografie, come a Selma, premiato per la canzone, o a The Imitation Game, Oscar per la sceneggiatura adattata, o ad American Sniper, premio al montaggio del sonoro.
Chiudono il palmares della nottata, Ida, film polacco vincitore del premio per il film straniero, Big Hero 6, miglior film animato dell’anno, e Interstellar, premiato per i superbi effetti speciali. Si chiude un’annata cinematograficamente più debole del solito, con uno spettacolo televisivo che ha saputo dare poco ritmo e verve: serberemo allora, come ricordo, la performance di Everything Is Awesome, canzone di The Lego Movie candidata, la cui interpretazione dal vivo è stata un tripudio di gioia fanciullesca nella serata dei frac inamidati.