Magari in Italia preferiamo prenderlo in giro per le (discutibili) pubblicità di biscotti e merendine, ma per Antonio Banderas è un momento di grande libertà, prima con l’auto-parodia ne I mercenari 3 e poi con il ruolo delirante del pirata cattivo in Spongebob – Fuori dall’acqua. Ma il ritorno a un certo tipo di cinema e atmosfere avviene in patria, in Spagna, grazie al regista Gabe Ibanez che lo ha voluto nel suo film Autòmata, interessante esperimento di fantascienza a basso budget.
La storia è ambientata nel 2044, quando la Terra sta per desertificarsi e i robot sono essenziali alla stabilità del genere umano. Ma alcune “morti” robotiche spingono l’agente di assicurazioni Jacq Vaucan a scoprire, per conto della società costruttrice, una realtà inaspettata e inquietante: i robot sono in grado di riprogrammarsi. Ma a quale scopo?
Scritto dal regista con Igor Legarreta e Javier Sànchez Donate, Autòmata è un classico film di fantascienza evidentemente ispirato a Blade Runner di Scott con cui Ibanez rilegge il western “spagnolo”, quello politico e sabbioso, come il film di Scott rileggeva il noir americano, dando al film un percorso filmico del tutto peculiare.
La fantascienza, infatti, non dà solo molte possibilità di raccontare il presente attraverso lo schermo del futuro, ma è anche una questione per raccontare le radici culturali, in questo caso cinematografiche, di un Paese: Ibanez perciò è intelligente a vestire il suo discorso politico sulla ribellione degli automi, con evidente metafora del genere umano nel XXI secolo, con i panni del deserto, della fotografia desaturata, degli scontri armati di fucili e pistole, per ricollegare la science-fiction all’Almerìa dei western spaghetti e non solo (i cosiddetti paella-western o chorizos), in un momento di fulgore industriale per il cinema spagnolo.
Il contesto “storico” quindi diventa quasi un orizzonte, un obiettivo da perseguire, ovvero ridare alla Spagna il vigore e l’incisività di un preciso periodo, utilizzando come nel caso di Autòmata i pochi mezzi a disposizione al meglio: e così Ibanez è molto bravo a sfruttare i set bulgari e gli effetti speciali con parsimonia per creare atmosfere e scene efficaci, a tappare le falle del racconto con la bontà del suo occhio, evidenziata dall’apertura, con titoli di testa degni di un film di Pollack, o la chiusura con “La Mer” di Charles Trenet.
E poi Autòmata meriterebbe la visione anche per permettere allo spettatore di riscoprire un attore come Banderas, non solo un residuo dello star system, ma un interprete serio e credibile, anche in un ruolo più fine e complesso di quelli interpretati recentemente. Magari non sarà Harrison Ford, ma di sicuro non è solo la spalla di una gallina.