Grande sorpresa ieri sera alla 68a cerimonia di premiazione del Festival di Cannes, tanto per i vincitori quanto per gli esclusi: la Palma d’oro 2015 è stata assegnata a Jacques Audiard, regista francese di talento, per Dheepan (non tra i suoi film migliori, di sicuro), storia di un immigrato srilankese che deve difendere a ogni costo il suo sogno di una vita normale. Un bel film tra realismo sociale e stilizzazione noir che ha convinto, o perlomeno messo d’accordo, la giuria guidata dai fratelli Coen che pare, stando a quanto dicono i ben informati della Croisette, essere stata molto divisa e combattuta.
L’altra sorpresa viene dall’esclusione dei tre film italiani da ogni premio: Mia madre di Nanni Moretti – amatissimo dalla critica internazionale -, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e Youth di Paolo Sorrentino erano un terzetto di ottimo livello, forse la compagine nazionale migliore in gara; eppure, evidentemente, non ha colpito a sufficienza i giurati, o più probabilmente ha causato talmente tante discussioni, come accaduto ai critici a Cannes, che non si è arrivati a un accordo. E questo forse, per i nostri film, è un bene: che sappiano colpire così in fondo un pubblico tanto distante da quello nostrano.
Il premio per la miglior regia è andato a The Assassin, bellissima pellicola in costume del taiwanese Hou Hsiao Hsien, in cui il film di spadaccini cinesi diventa uno struggente canto esistenziale e intimista dallo stile straordinario; mentre il gran premio della giuria è stato vinto dal sorprendente esordio di Laszlo Nemes Son of Saul, originale e intelligente modo di leggere il dramma dell’Olocausto.
Le sorprese però non sono finite: se miglior attore è stato incoronato meritatamente Vincent Lindon per La loi du marché di Stephan Brizé, l’ex-aequo per l’attrice tra Rooney Mara (per il magnifico Carol di Todd Haynes) ed Emmanuelle Bercot (per l’ottimo Mon roi di Maiwenn) ha lasciato di stucco, perché l’attrice americana toglie il premio alla protagonista dello stesso film, Cate Blanchett, e perché quella francese mette troppo cinema d’oltralpe nel palmares, non avendo mostrato invece questa egemonia.
Deludente e poco comprensibile il premio alla miglior sceneggiatura per Chronic di Michel Franco, tra i film peggiori del festival e che sicuramente ha nello script il suo punto debole, mentre già più interessante il premio della giuria a The Lobster del greco Yorgos Lanthimos, incarnazione stimolante di quel cinema diverso che si trova spesso solo ai festival.
Nonostante il balletto dei premi, che ha il fascino e l’importanza relativa di un gioco, quella del 2015 è stata un’edizione di alto livello, capace di portare sugli schermi di Cannes tante idee forti ed eterogenee di cinema, autori che cercano costantemente di leggere o reinventare il cinema secondo forme sempre diverse, fossero quella della ricerca linguistica o della grande emozione, come dimostrano due capolavori visti fuori dal concorso ufficiale comeAn di Naomi Kawase o Inside Out di Pete Docter.