Il prime time di Rete Quattro di martedì 7 luglio 2015 è stato tutto all’insegna del racconto di fatti di vita reale, con la terza puntata di “Alive La forza della vita”. Il programma, condotto da Giusy Versace e Vincenzo Venuto, è basato su una sequenza di racconti. Nel corso di ciascuna puntata vengono infatti ricostruite passo dopo passo storie di persone che hanno superato forti difficoltà nella loro vita, incidenti o calamità naturali, ma hanno saputo avere la meglio sul destino. Le loro testimonianze sono importanti anche per dare forza e speranza a chi potrebbe trovarsi in situazioni dello stesso tipo. Raffaele Santoro è un vero e proprio eroe. Il poliziotto ha il merito di aver salvato la vita a una neonata che era stata abbandonata dalla madre a Caserta vicino ai cassonetti, tra la spazzatura, avvolta in un sacchetto di plastica. I due addetti alla raccolta della spazzatura quella mattina fecero una breve pausa caffè al bar. In quegli stessi attimi quella bambina appena nata stava rischiando la vita in un sacchetto posto a pochi metri da loro. I due amici e colleghi stavano per pagare la loro colazione quando arrivò un terzo uomo, particolarmente agitato. Quell’uomo era Nicola che, passando davanti al cassonetto, aveva notato che un nasino usciva dal collo di un maglione. Aprendo il sacchetto stesso, egli aveva visto che si trattava di una neonata, che era ancora calda ma non si muoveva più. Il suo volto si faceva sempre più scuro e nessuno sapeva che cosa fare. Giuseppe racconta che l’ossigeno cominciava a venir meno per la bambina e nel frattempo loro chiamarono i primi soccorsi. I due poliziotti Valerio e Raffaele furono i primi ad intervenire. Valerio ha parlato con Giusy Versace e le ha raccontato di quella chiamata che arrivò quella mattina per riferire di una bambina abbandonata tra i rifiuti, che li lasciò tutti sbalorditi. Raffaele sapeva perfettamente come effettuare le manovre per far tornare la piccola a respirare, perchè suo figlio malato spesso aveva delle crisi e così egli è riuscito a salvare la bambina. La scelta del nome da dare alla piccola spettava a lui e così decise di chiamarla Emanuela, nome che sarebbe piaciuto a suo figlio se mai avesse avuto un fratellino o una sorellina. Nella notte tra l’1 e il 2 ottobre del 1996 la nave Portovenere fu colpita da un terribile incendio a Genova, quando a bordo vi erano ben 220 persone, sei delle quali non riuscirono a sopravvivere. A raccontare la vicenda vissuta in prima persona, sono stati il medico di bordo, Paolo, e il capitano della marina Mario. La sala macchine della nave si è trasformata in pochissimo tempo in una camaera a gas. Il primo di ottobre Mario era sulla nave per fare alcuni collaudi insieme ad altri tecnici. A un certo punto egli vide uscire del fumo nero e capì che qualcosa di serio stava accadendo.
Mario non poteva immaginare però che l’anidride carbonica stava invadendo la nave e lui e i suoi compagni rischiavano di morire soffocati. Quando arrivò Paolo, il medico soccorritore, Mario fu dato per morto insieme ad altre persone e coperto da un lenzuolo. Poco dopo però qualcuno si accorse che egli riusciva a muovere un piede e così Paolo iniziò a trattarlo con farmaci specifici e lui tornò alla vita. Oggi, nel raccontarlo, Mario si commuove pensando a tutti coloro che a differenza sua non ce l’hanno fatta. Per Mario la tragedia che ha vissuto non è facile da accettare ed è consapevole del fatto che se non fosse stato per l’aiuto tempestivo di Paolo non avrebbe mai più riabbracciato sua moglie e suo figlio. Così oggi, dopo 19 anni, lo vuole ringraziare davanti a tutti ma lo fa con una lettera, per poi andarlo ad incontrare insieme a suo figlio, che all’epoca aveva solo quattro anni. Mauro Prosperi ha la corsa nel sangue e la maratona è la sua passione. Ad “Alive” egli ha raccontato la sua storia di sopravvisuto dopo dieci giorni trascorsi nel deserto del Sahara, ad altissime temperature e senza acqua. Mauro stava partecipando a una maratona e a un certo punto, alla fine del percorso, i suoi amici si accorsero che si era perso. Il corridore non era più nel gruppo ed era dunque rimasto da solo nel deserto. Giovanni, un suo amico che stava anche lui correndo in quella maratona, chiamò subito la moglie di Mauro per avvertirla, ma lei non volle dire niente ai suoi figli finchè non fosse stata sicura la notizia che il loro papà non si trovava più. Intanto nel deserto partivano le ricerche a cui prese parte anche il cognato di Mauro. Purtroppo queste ricerche non ebbero esito positivo e a un certo punto si decise di interromperle. Di Mauro proprio non c’era traccia. La disperazione stava già prendendo piede tra amici e parenti del corridore. Intanto Mauro lì da solo nel deserto sopravviveva mangiando pipistrelli ma il suo fisico era stremato. Decise allora di mettersi in cammino e a piedi percorse più di 200 chilometri, finchè come un miraggio di fronte a lui si profilarono alcune capre. Insieme a quelle capre c’erano anche delle donne che subito, appena lo videro, si precipitarono ad aiutarlo. Mauro era salvo. Incredibilmente egli era riuscito a sopravvivere al deserto. Quell’esperienza, racconta oggi, non lo ha portato a smettere di cimentarsi in imprese estreme. Adesso, ad esempio, si sta allenando sull’Etna, in piena solitudine. L’aver superato quell’esperienza infatti, lo ha reso ancora più forte. Abbiamo ascoltato infine la testimonianza di una donna, alla quale è statao dato il nome di fantasia Angela. La donna per diversi anni ha subito le violenze di suo marito, finchè alla fine ha deciso di denunciare tutto e di liberarsi da quel peso enorme.