Hasnat e Diana sono innamorati profondamente ma le criticità della loro storia non li lasciano in pace: Diana cerca di pianificare la vita di entrambi senza considerare le ambizioni professionali e l’indipendenza di Hasnat; la principessa è tormentata dai media e il medico non li tollera; la madre di Hasnat, pur avendo conosciuto Diana, non può accettare l’unione in quanto lei è divorziata e cristiana. Tra mille contrasti e riappacificazioni, i due si rendono conto di appartenere a due mondi diversi e un matrimonio eventuale appare osteggiato dai troppi problemi. Hasnat rifiuta di sposare Diana per l’enorme pressione mediatica che la opprime; sopraffatta dalla tristezza e dalle riserve dell’uomo che ama, la principessa gli dice addio con il cuore spezzato. Poco dopo, per superare l’enorme dolore, accetta un invito di Mohammed Al-Fayed per le vacanze estive; sul suo yatch la principessa conosce suo figlio Dodi, con cui intraprenderà una nuova fatale relazione.
Non ha convinto la critica e neanche i telespettatori cinguettanti su Twitter il biopic del tedesco Oliver Hirschbiegel (già regista de “La caduta” sulla fine di Hitler) tratto dalla biografia di Kate Snell. Si potrebbe dire banalmente un film senz’anima, un compitino scolastico pronto a consegnare il ritratto incerto di una donna fragile (e si sapeva che fosse fragile), vulnerabile (e si sapeva anche che fosse vulnerabile), ma oltre a questo? Il film di Hirschbiegel, completamente privo di una qualsivoglia forma di rielaborazione artistica, racconta una cronistoria fermandosi in superficie e scegliendo di non uscire dalla banale caratterizzazione di una Diana etichettabile solo, limitatamente, come triste e sensibile. Il film si riveste pertanto di una patina 90s, ma quei 90s delle telenovelas e di quei brutti giochi a premi in TV.