Ildar Abdrazakov, il 42enne russo di Ufa, in Baschiria, è in assoluto uno dei più grandi bassi del mondo. Per la Prima della Scala, è stato lui il volto dell’Attila che ha aperto trionfalmente la stagione. Il mattino dopo, intervistato dal Corriere della Sera, ha avuto modo di rivivere le emozioni a caldo, dopo il lunghissimo applauso che l’ha salutato al termine della sua esibizione. Camicia bianca, braccia alzate al cielo e una pioggia di consensi. “Ero solo a metà spettacolo, ma quella è la romanza chiave – racconta – Se passi l’esame in quel punto, puoi andare avanti tranquillo. Sono stati mesi di tanto lavoro, di tanta tensione. Il 7 dicembre è qualcosa che non esiste in nessun altro teatro. La Scala è la Scala anche per questo”. Attila infatti, non è stata solo una semplice opera ma il punto di svolta: “Ha cambiato la mia vita. Avevo studiato musica, tutti dicevano che avevo una bella voce, ma cantavo solo canzoni popolari. La prima volta che sono andato all’opera c’era La fidanzata dello zar. Mi annoiai moltissimo. Me ne andai a metà giurando di non metterci più piede”. Proprio per questo: “Non avevo fatto i conti con Attila. Mio fratello Askar, anche lui basso, mi portò il video dell’edizione della Scala diretta da Muti con Samuel Ramey. Un colpo di fulmine. In un istante ho scoperto Verdi e la magia dell’opera. E ho deciso: voglio essere un cantante, voglio cantare quest’opera, voglio farlo alla Scala”.
Ildar Abdrazakov dopo la Prima della Scala
Inizialmente, prima di approdare alla Scala, Ildar Abdrazakov ha incontrato Muti: “Con lui avevo fatto Banco nel Macbeth e due inaugurazioni agli Arcimboldi, nel 2002 Iphigénie en Aulide, nel 2003 Moïse et Pharaon. Nel 2010, quando mi chiamò per Attila al Met, con lui c’era Ramey. Ma stavolta nelle vesti del papa la cui visione turba tanto il barbaro. Il sogno si è fatto realtà anche per me. Ero Attila, e con gli stessi protagonisti del filmato fatale”. Ora il sogno si completa perfettamente alla Scala con Chailly: “Una nuova scoperta arricchita dalle battute inedite di Rossini e dall’aria di Foresto del terzo atto. L’altra novità è la regia di Livermore che porta Attila nel ‘900”. Attila è arrivato nel cuore di mezzo mondo, anche dalle sue parti? “No purtroppo. Mia madre mi ha telefonato per sapere come era andata. Se sono qui devo dire grazie anche ai miei genitori che mi hanno spinto verso la musica. L’arte era di casa da noi, mia madre era pittrice di ceramiche, mio padre regista di cinema e tv. Ha girato molti documentari anche su Nureyev, nato anche lui a Ufa. E a Ufa da un paio d’anni tengo un mio festival lirico. In primavera farò Attila, stavolta da regista”.