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Home » Cronaca » È morto » Clark Olofsson è morto: fu ispiratore della “sindrome di Stoccolma”/ Difeso dagli ostaggi durante una rapina

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Clark Olofsson è morto: fu ispiratore della “sindrome di Stoccolma”/ Difeso dagli ostaggi durante una rapina

Lorenzo Drigo
Pubblicato 27 Giugno 2025
Clark Olofsson

Clark Olofsson (Foto: web)

È morto Clark Olofsson, tra i più noti criminali svedesi: a lui si deve l'ispirazione per la condizione psicologica nota come "sindrome di Stoccolma"

È stato dato l’annuncio in queste ore della morte di Clark Olofsson, tra i criminali svedesi più famosi e che si rende protagonista di una particolare condizione pseudo-medica nota come “sindrome di Stoccolma” nel corso di una famosissima rapina alla quale partecipò – addirittura – contro il suo stesso volere: un caso complesso e che resta ancora al centro di accese discussioni nella comunità psichiatrica mondiale tra chi crede alla veridicità della sindrome e chi, invece, la nega.


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Prima di arrivare a quella famosissima rapina, vale la pena fare un passo indietro per ricordare brevemente chi era Clark Olofsson: di fatto, la sua vita è stata lungamente (ed esclusivamente) costellata di reati, furti e rapine di ogni tipo tanto che ha passato buona parte dei 78 anni che ha vissuto chiuso dietro alle sbarre di questo o quell’altro carcere; mentre tra una condanna e l’altra, era diventato un uomo completamente libero solo nel 2018, quando tornò nella “sua” Svezia.


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La vita privata di Clark Olofsson è in larga parte del tutto ignota, ma sappiamo per certo che ebbe una fidanzata in prigione – tale Madiorie Britmer – e poi anche una moglie – Marijke Demuynck – sposata nel 1976 e con la quale divorziò nel 1999, il tutto condito da almeno sei figli nati da varie relazioni intrattenute nel corso degli anni: la morte, ha fatto sapere la BBC in queste ore, sarebbe legata a una non meglio precisata malattia con la quale combatteva da tempo.

La rapina di Clark Olofsson che ispirò la “sindrome di Stoccolma”: cosa successe alla Kreditbanken nel 1973

Come dicevamo prima, se c’è una cosa (tra le tantissime negative) per la quale Clark Olofsson è passato – pur involontariamente – alla storia è proprio la coniazione del termine “sindrome di Stoccolma”: per capirla dobbiamo tornare al 1973 quando Jan-Erik Olsson fece irruzione nella sede di Stoccolma della banca Kreditbanken, avanzando (con diversi ostaggi detenuti all’interno) la sola richiesta di liberazione di Clark Olofsson dal quale sperava di ottenere aiuto per concludere la rapina.


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Clark Olofsson (d) durante la rapina alla Kreditbanken di Stoccolma
Clark Olofsson (d) durante la rapina alla Kreditbanken di Stoccolma (Foto: Wikipedia)

Effettivamente le autorità concessero a Clark Olofsson di raggiungerlo, accettando anche di concedergli uno sconto di pena nel caso in cui li avesse aiutati a concludere la rapina senza vittime, feriti o furti: al suo ingresso in banca, Olofsson fece effettivamente liberare buona parte degli ostaggi, ma il compare decise di tenerne quattro – tutti dipendenti – che richiuse all’interno del caveau della banca; il tutto fino al per un totale di sette giorni al termine dei quali le autorità fecero irruzione e li obbligarono alla resa.

Singolare di quella rapina fu il rapporto di reciproca fiducia che si instauro tra Clark Olofsson, Olsson e gli ostaggi, al punto che in più occasioni, durante la trattative, questi ultimi difesero convintamente l’operato dei rapitori: all’irruzione della polizia gli ostaggi arrivarono addirittura a mostrare diffidenza per le autorità e nessuno di loro testimoniò ai processi, dai quali – peraltro – Olofsson ne uscì del tutto pulito dato che nulla c’entrava con quella rapina.

Proprio questo apparente stato di fiducia che si crea tra rapitori e ostaggi è alla base della “sindrome di Stoccolma” coniata dallo psichiatra Nils Bejerot all’indomani dei fatti che coinvolsero Clark Olofsson; mentre il dibattito resta aperta con una certa fetta della comunità psichiatrica globale che nega l’esiste della sindrome, imputandola – piuttosto – al normale istinto di sopravvivenza che scatterebbe in ogni persone in un momento delicato e complesso come quello vissuto dai dipedenti della banca.


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