Attorno al caso di George Floyd nelle ultime settimane sono state sollevate diverse teorie del complotto. Anche Alessandro Meluzzi, psichiatra e criminologo, aveva condiviso su Twitter la notizia secondo la quale l’agente Derek accusato di aver ucciso l’afroamericano, in realtà sarebbe l’attore comico Ben Bailey. Condivisione che gli aveva fatto guadagnare da parte di alcuni utenti l’accusa di essere un complottista alla quale lo stesso Meluzzi aveva poi replicato con un altro tweet contenente il link ad un articolo dal titolo: “La rivincita dei complottisti: più razionali, sani, equilibrati e meno fanatici dei convenzionalisti”. L’articolo in questione parlerebbe di uno “studio” già narrato nel 2013da Veterans Today e giunto in Italia due anni dopo sul sito Byoblu.com. L’articolo condiviso da Meluzzi, spiega il quotidiano Open, sarebbe esattamente un copia-incolla del post contenuto su Byoblu e si concentra su uno studio realizzato dagli psicologi Michael J. Wood e Karen M. Douglas dell’Università del Kent e che avrebbe “confrontato numerosi commenti di tipo ‘cospirazionista’ e ‘convenzionalista’ (anti-cospirazione), postati da utenti di siti di notizie online”. Open ha consultato lo studio originale arrivando però ad una conclusione differente: “Di fatto, il documento è stato usato e travisato. Infatti gli autori non concludono affatto che i complottisti sarebbero più razionali”.
COMPLOTTISTI PIÙ “SANI” DI ALTRI? LA SMENTITA
Nello studio a cui si fa riferimento, condotto da Michael Wood e Karen Douglas apparso su Frontiers Psychology nel 2013, i ricercatori hanno preso in esame i commenti pubblicati tra il 1 luglio e il 31 dicembre 2011 su 4 principali siti di notizie e relativi alla commemorazione dei 10 anni dall’attentato dell’11 settembre, oggetto ancora oggi di varie teorie del complotto. Lo studio analizza i comportamenti tra complottisti e non complottisti, riscontrando nei primi una tendenza ad argomentare di più contro le interpretazioni oppositrici che non le proprie, a differenza dei non complottisti. Per gli studiosi si tratterebbe di un problema già noto e definito manifestazione dell’effetto Dunning-Kruger. Gli utenti che credono nelle tesi del complotto, pur non avendo grandi conoscenze del fenomeno, tenderebbero ad essere convinti di poter fare a meno delle spiegazioni degli esperti e quindi ad essere più agguerriti. Di contro, chi comprende di non avere le competenze per poter intervenire preferisce il silenzio pur essendo comunque in grado, se interrogati, di spiegare in maniera coerente la propria posizione convenzionalista. Ciò non avviene in un complottista, che se interrogato sulle proprie teorie difficilmente sarà in grado di fornire risposte supportate da adeguati dati.
Tornando allo studio del 2013, questo – spiega ancora Open – sarebbe stato spiegato in maniera errata già in passato sul noto sito complottista Infowars di Alex Jones. Proprio il modo in cui è stato travisato lo studio, rilanciato a distanza di anni, dimostrerebbe le sue conclusioni. Sono gli stessi autori ad invitare a pensare in maniera più critica. Proprio uno degli studiosi, Wood, era intervenuto criticando chi aveva travisato lo studio pubblicando titoli fuorvianti e spiegando che lo stesso non dimostrerebbe il fatto che i complottisti siano più “sani” dei non complottisti: “questo studio non dice nulla sulla salute mentale, e i suoi risultati non giustificano alcuna conclusione sul fatto che un gruppo di persone sia più o meno “sano” di un altro”, si legge.