Emerge un nuovo mistero nel giallo di via Poma: il giorno dell'omicidio, in ufficio con Simonetta Cesaroni c'era anche un'altra collega

Si continua – tardivamente – a indagare sul tristemente noto delitto di via Poma che dal 1990 non ha nessuna risposta su chi abbia compiuto l’omicidio e l’unica certezza che in quell’ufficio venne brutalmente uccisa la 21enne Simonetta Cesaroni, molto probabilmente da qualcuno che aveva libero accesso all’ufficio: un caso che a lungo è rimasto sulle prime pagine dei quotidiani italiani e che ha visto susseguirsi numerose indagini e nomi di possibili colpevoli, tutti poi archiviati co un sonoro nulla di fatto e – appunto – nessun colpevole per l’omicidio di Simonetta Cesaroni.



Partendo dal principio, prima di arrivare al nuovo mistero nel mistero, è utile ricordare che il delitto risale al 7 agosto del 1990: in quel momento Simonetta si trovava negli uffici dell’AIAG al numero 2 di via Poma dove lavorava come contabile, quando venne raggiunta da un ignoto (o, secondo alcuni, da due) che la aggredì infliggendole 29 coltellate, lasciandola esanime a terra in una pozza di sangue e “inquinando” la scena del crimine per inscenare un furto finito in tragedia.



Simonetta Cesaroni: la ricostruzione della scena del crimine (Foto: Dark Lines – Rai)

Nel corso degli anni – come dicevamo prima – si è indagato su diverse figure collegate a Simonetta Cesaroni e all’AIAG tra il portinaio dello stabile, il figlio di quest’ultimo e (da protocollo) l’ex fidanzato della vittima: al di là delle tante suggestioni, alla fine tutte le posizioni vennero archiviate e per tantissimi anni l’omicidio è rimasto (di fatto, com’è ancora adesso) un vero e proprio giallo senza risposte.

Giallo di via Poma: il mistero dei fogli firma che dimostrerebbero la presenza di una collega in ufficio con Simonetta Cesaroni

Tornando al presente, dopo una lunghissima battaglia condotta dalla famiglia di Simonetta Cesaroni la Procura ha deciso di rispolverare il fascicolo dell’omicidio per capire se tutte le piste siano state debitamente indagate e – soprattutto – se sia possibile trovare un colpevole a 35 anni di distanza: un lavoro certamente non facile e dal quale stanno emergendo già alcune interessanti novità, tra cui quella – scoperta già nel 1996 – dei fogli firma sulle presenze dei dipendenti negli uffici.



I fogli erano apposti all’epoca del delitto sulla porta degli uffici di via Poma ma vennero completamente ignorati dagli inquirenti durante i primi sopralluoghi sulla scena e poi fatti (per così dire) misteriosamente sparire da qualche ignoto: a salvarli, però, ci pensò Luigina Berrettini – che all’epoca si occupava delle buste paga e che fu l’ultima persona a parlare, per un problema tecnico, con Simonetta Cesaroni – che segretamente li fotocopiò e li consegnò al padre della vittima.

La questione dei fogli firma fu scoperta già nel 1996 dal giornalista Gian Paolo Pelizzaro e comunicata agli inquirenti, rimanendo – tuttavia – sepolta nei tanti e folti faldoni delle inchieste; mentre la ragione per cui è importante è legata proprio alle firme apposte su quei figli: il giorno del delitto di Simonetta Cesaroni, infatti, risulta che nell’ufficio ci fosse una collega (la cui identità attualmente non è stata resa nota) che dopo aver firmato l’ingresso in ufficio, non ha mai firmato l’uscita.

La ragione della mancata firma in uscita è ignota, ma si tratta di una singolarità non da poco perché dall’uscita dipendeva il pagamento del turno effettuato quel pomeriggio: forse si trattò di una semplice (ma improbabile) svista, oppure quella dipendente potrebbe aver assistito a quanto accaduto a Simonetta Cesaroni e – scappando di tutta fretta dall’ufficio – si dimenticò di firmare il foglio; oppure – entrando nel campo delle suggestioni – potrebbe c’entrare direttamente con il delitto.