La storia di Maria può aiutare a comprendere da dove occorre partire per cercare di migliorare la propria condizione lavorativa
Sono un uomo fortunato perché il lavoro mi permette di incontrare tante persone, diverse fra di loro. Questo mi “costringe” a rimanere desto e a leggere i cambiamenti culturali, di genere, legati alla tecnologia. Di conseguenza quando vengono pubblicati studi e ricerche che riguardano il mondo del lavoro mi sollecitano e mi incuriosiscono a paragonare i risultati di questi studi con il mio variegato micro mondo fatto di relazioni e di tentativi di crescita.
La ricerca che ci offre lo spunto di oggi, è quella di Cegos Group, realtà francese, con quasi un secolo di storia, specializzata in formazione e sviluppo delle competenze, presente in oltre cinquanta Paesi nel mondo. Il gruppo ha pubblicato la seconda edizione del suo Barometro internazionale sulla Diversity & Inclusion.
L’indagine, condotta quest’anno tra aprile e maggio 2025 su un campione di 5.537 dipendenti e 438 tra direttori e responsabili del mondo HR, in 10 Paesi tra Europa, America Latina e Asia, prova a fotografare l’inclusione nei luoghi di lavoro e come viene percepita da chi li vive ogni giorno.
Alcuni dati della ricerca:
– Due lavoratori su tre (55% in Italia) dicono di aver subito discriminazioni nel corso della carriera, le cause principali riguardano aspetto fisico, età e condizione socioeconomica;
– l’81% dei responsabili HR intende proseguire, rafforzare o comunque tenere alta l’attenzione sulle politiche di inclusione, ma solo il 42% dei dipendenti percepisce questo impegno;
– un lavoratore su tre ritiene che le discriminazioni peggiorino il clima aziendale;
– otto dipendenti su dieci considerano la sensibilità inclusiva un elemento nella scelta del datore di lavoro.
Come si può intuire, gli spunti non mancano e la storia personale e la sensibilità di ciascuno di noi saranno sollecitate in modo diverso a riflettere à su casi personali o che riguardano persone che conosciamo.
Potremmo parlare “dell’ascensore sociale fermo” e dell’impatto che questo ha sul lavoro e sulla fiducia tra colleghi; o della leadership credibile da parte dei responsabili, basata su comportamenti quotidiani e non su politiche aziendali; o di come il benessere organizzativo debba costruire linguaggi più rispettosi.
Vi confesso che sento quotidianamente mie tutte le cose appena elencate, le ritengo urgenti e nello stesso tempo, complesse. E se uno studio come questo è stato fatto, vuol dire che le coscienze si muovono. Ma rischiando, vi racconto la storia di “Maria lavori in corso”.
Maria, nella sua azienda, è una figura intermedia, stimata dal suo capo. Lo scorso anno ha ricevuto un aumento e anche i colleghi la apprezzano. Guadagna bene e lavora vicino casa. Eppure Maria fa fatica, è in crisi. Ma dov’è il malessere, dov’è la discriminante, sembra tutto essere più che decente e non mi sorprenderebbe se leggendo qualcuno dicesse “ma in giro c’è molto di peggio” e in senso lato non mi sentirei di dargli torto.
Ma il punto è proprio questo, in un mondo che cambia, tutti noi ci facciamo molte più domande, il Covid è stato un ulteriore elemento di riflessione, con il quale personalmente e socialmente tutti abbiamo fatto i conti.
Ma che c’entra Maria con i dati della bella ricerca di cui vi ho accennato? C’entra perché la possibilità di poter crescere e lavorare su tutte le cose che percepiamo essere necessarie per migliorare il nostro quotidiano e la cultura del lavoro, deve partire soprattutto da un lavoro su di sé, su di noi.
Vi assicuro che non è una mia percezione, ma è quello che sta facendo Maria: non sta più cercando di capire in che modo deve cambiare l’azienda, il capo, i colleghi, ma sta cercando di capire come lei può vivere pienamente quello che le sta capitando. Come abbiamo detto i “lavori sono in corso”, forse Maria cambierà lavoro, forse il modo nuovo con cui si sta rapportando con i suoi capi la porterà a un cambiamento all’interno della sua azienda, forse ci sarà una terza via.
Ma il punto che a me sembra interessante è che, a ognuno di noi è chiesta una maggiore responsabilità personale, intesa come il vivere intensamente ciò che ci capita e non cadere nella riduzione di pensare che ci siano altri che debbano cambiare le cose.
Non fraintendetemi, non è il super-io che risolve i problemi, ma certamente non li risolve partire solo dal fatto che debbano essere gli altri a risolverli. Tutti noi siamo provocati dal clamore dell’albero che cade e diamo per scontato o peggio ancora per dovuta la foresta che cresce.
Come vi dicevo, sono un uomo fortunato perché poter incontrare e fare compagnia a persone come Maria mi costringe a provare a essere desto di fronte a ciò che accade e provare a riconoscere il positivo che può nascere da ciò che accade, anche quando non è come vorrei che fosse: così come sta facendo Maria, anche noi siamo, inevitabilmente, “lavori in corso”.
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