Le competenze digitali sono sempre più importanti nel mondo del lavoro. Per questo occorre contribuire a diffonderle

Negli ultimi giorni è stato pubblicato uno studio che merita di essere letto con attenzione. Si tratta dell’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2025, curato da AICA insieme ad Anitec Assinform, Assintel e Talents Venture. Il rapporto analizza in modo approfondito la domanda crescente di profili tecnologici e utilizza anche i dati raccolti da Talents Venture sugli annunci pubblicati su LinkedIn.



I numeri raccontano una situazione chiara. Ogni anno in Italia vengono pubblicati più di centotrentamila annunci per professionisti ICT, mentre i nuovi lavoratori che entrano sul mercato sono poco più di settantamila. Questo significa che una posizione su due resta scoperta e che la distanza tra ciò che cercano le imprese e ciò che il mercato riesce a generare è significativa. Non è un fenomeno improvviso e non è nemmeno nuovo, ma oggi lo vediamo con maggiore chiarezza.



Accanto a questi numeri, c’è un punto che riguarda tutti, anche chi non lavora direttamente nella tecnologia. L’informatica, a lungo considerata una competenza verticale, tipica degli specialisti, negli ultimi quindici anni è diventata sempre di più una competenza di base, una vera e propria soft skill. È un percorso simile a quello delle lingue straniere. L’inglese, un tempo richiesto solo in determinati contesti, oggi è quasi una condizione minima per muoversi nel lavoro. L’informatica sta seguendo la stessa strada.

Le imprese cercano sì sviluppatori e sistemisti, ma chiedono anche a tutti una familiarità maggiore con strumenti e processi digitali. Non è più una nicchia. È entrata nel lavoro quotidiano.



Foto di Kevin Ku (Pexels)

Dentro questo scenario c’è un tema più ampio, che riguarda il nostro Paese e l’Europa. Nei prossimi anni avremo bisogno di nuove persone che verranno a lavorare qui. Succede perché facciamo meno figli e perché viviamo più a lungo. Da circa trentacinque anni il numero delle nascite in Italia continua a diminuire. Per sostenere il sistema economico e sociale serve una forza lavoro che produca reddito e contribuisca. Non possiamo quindi immaginare l’inserimento delle persone straniere come un fatto puramente linguistico o burocratico.

Chi arriva non ha solo bisogno dell’italiano e di un lavoro. Ha bisogno di crescere nelle proprie competenze per mantenersi impiegabile nel tempo. E il nostro compito è accompagnarlo. Non solo per senso civico, ma per il bene di tutti.

Nel mio lavoro incontro persone straniere in contesti diversi. Nei corsi di primo inserimento lavorativo, dove il bisogno principale è spesso la lingua e la comprensione delle regole di base. Nei percorsi di apprendistato seguiti da ragazzi che vivono in Italia già da qualche anno e che iniziano a vedere possibilità di crescita. E nei corsi di aggiornamento, frequentati da adulti che lavorano e cercano un modo per fare un passo avanti. Le situazioni sono diverse, ma hanno un filo comune: la consapevolezza e il lavoro quotidiano. Ogni piccolo passo sulle proprie competenze apre uno spazio nuovo.

Dentro tutto questo l’alfabetizzazione informatica sta assumendo un ruolo centrale. È un tema che riguarda chi orienta, riguarda le aziende e riguarda le persone, italiane e straniere. Perché integrarsi oggi non significa solo conoscere la lingua e capire come funziona il lavoro. Significa saper usare gli strumenti che permettono di comunicare, candidarsi, seguire una formazione online, consultare un contratto, leggere un cedolino, iscriversi a un corso, dialogare con una Pubblica amministrazione o con un’azienda. La tecnologia è diventata una porta d’ingresso. Se non la si sa usare, si rischia di restare ai margini. E questo riguarda tutti noi.

L’alfabetizzazione informatica non è un corso fatto una volta nella vita. Richiede continuità. Richiede la disponibilità a rimettersi in gioco, una cultura della crescita che nel nostro Paese dobbiamo rafforzare. Non è un obbligo. È una possibilità. Un modo concreto per aiutare le persone a stare dentro il cambiamento con più sicurezza e per aiutare le imprese a trovare le competenze di cui hanno bisogno.

Per questo è utile rafforzare il lavoro nelle scuole e nei percorsi per adulti, spiegando che la capacità di usare il telefono o i social non coincide con una competenza digitale utile nel lavoro. Lo vediamo ogni giorno. Ragazzi italiani molto abili con lo smartphone, ma in difficoltà davanti a un file, a una mail da scrivere bene, a un documento da compilare. E lo vediamo nelle persone straniere, che spesso hanno una buona motivazione, ma devono prendere confidenza con strumenti e procedure nuove. Accompagnarle anche su questo fronte può facilitare il loro inserimento lavorativo e aiutarle a costruire una vita più stabile.

Questa consapevolezza può diventare una leva. Una direzione da coltivare con costanza. Integrare cultura del lavoro, competenze linguistiche e competenze digitali può aiutare molte persone a trovare il proprio spazio e può aiutare il nostro Paese a stare dentro un cambiamento già in atto. Non è una soluzione immediata, è un percorso. Ma è un percorso possibile.

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