Il nostro Paese può scegliere la strada del salario minimo oppure cercare di cambiare in meglio il sistema esistente della contrattazione collettiva
Siamo arrivati, finalmente, ad agosto, il tempo (quest’anno particolarmente caldo) per eccellenza delle ferie e delle vacanze. A settembre torneremo, inevitabilmente, tutti a lavoro e a lamentarci, un diritto costituzionalmente garantito, degli stipendi (per i fortunati che ne hanno uno) sempre troppo bassi e a chiederci se la soluzione possa essere il “salario minino” proposto, da alcuni anni, da più parti politiche.
In attesa di capire se, e come, questo verrà introdotto nel nostro ordinamento può essere sicuramente utile vedere come funziona il nostro, certamente imperfetto, sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva. Ci aiutano, in quest’analisi, due recenti studi di Istat e Cnel pubblicati nei giorni scorsi.
Emerge, ad esempio, che alla fine di giugno 2024, i 41 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 64,0% dei dipendenti, circa 8,4 milioni, e corrispondono al 62,9% del monte retributivo complessivo. Al 30 giugno 2024 sono stati sottoscritti, nel settore privato, ben 992 contratti collettivi di lavoro (forse troppi?) dei quali 423 “non scaduti” (il 43% del totale). Nel corso del secondo trimestre 2024 sono stati sottoscritti quattro nuovi contratti: conciarie, distribuzione moderna organizzata, agricoltura, impiegati e pubblici esercizi. I contratti che, a fine giugno 2024, sono in attesa di rinnovo ammontano a 34 e coinvolgono ben circa 4,7 milioni di lavoratori (il 36,0% del totale).
In questo quadro di progressivi rinnovi dei Ccnl, la retribuzione oraria media nel periodo gennaio-giugno 2024 è cresciuta del 3,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a giugno 2024 segna un aumento dell’1,2% rispetto al mese precedente e del 3,6% rispetto a giugno 2023; l’aumento tendenziale è stato del 4,9% per i dipendenti dell’industria, del 3,7% per quelli dei servizi privati e dell’1,6% per i lavoratori della Pubblica amministrazione. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono: legno, carta e stampa (+8,5%), credito e assicurazioni (+7,1%) e settore metalmeccanico (+6,4%). L’incremento è invece nullo per farmacie private, telecomunicazioni, ministeri, forze dell’ordine, forze armate e attività dei vigili del fuoco.
Un sistema, insomma, per stabilire la “giusta” retribuzione “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” come ci ricorda la nostra Costituzione sembra già esserci. Da capire, quindi, se, quanto e come sia necessario riformare il sistema semplificando, ad esempio, il numero (eccessivo) dei Ccnl contrastandone l’utilizzo improprio e, ahimè, talvolta fraudolento o se scegliere la via di uno stipendio determinato dalla politica “per legge”.
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