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Home » Esteri » Europa » CRISI FRANCIA/ La strategia di Macron per fare un ribaltone ed evitare il voto

  • Europa
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CRISI FRANCIA/ La strategia di Macron per fare un ribaltone ed evitare il voto

Stefano Bressani
Pubblicato 9 Settembre 2025
Governo Bayrou-Macron

Governo Bayrou con il Presidente di Francia Macron (ANSA-EPA 2025)

Macron, dopo la caduta di Bayrou, persiste nel proposito di non mandare la Francia alle urne: la sua posizione si indebolirebbe. Ecco il suo piano

François Bayrou – il premier francese sfiduciato ieri sera dall’Assemblea nazionale francese – non ha commesso nessun suicidio politico e neppure ha strumentalizzato la crisi finanziaria del suo Paese a fini di potere personale. Al contrario: ha esercitato la sua responsabilità istituzionale sollecitando  – e alla fine non ottenendo – la legittimazione parlamentare su una manovra di bilancio da lui ritenuta adeguata per far rientrare la Francia nei parametri Ue e proteggerla da rischi crescenti sui mercati.


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Chi si è “suicidato” – già un anno fa – è stato il presidente Emmanuel Macron, che ha usato i poteri costituzionali nel suo interesse esclusivo, chiamando elezioni legislative anticipate al fine unico di parare una clamorosa sconfitta subita al voto europeo 2024.

Nuovamente sfiduciato alle legislative, il presidente ha insistito a testa bassa, incurante di una Paese in crisi che già per due volte lo aveva issato all’Eliseo con il voto effettivo di un elettore su quattro.


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Ma la costituzione francese – sempre più sotto accusa di obsolescenza anti-democratica – gli ha consentito di rimanere al potere, designando due premier-fake, di cui si è fatto scudo di fronte a un parlamento da lui stesso “impiccato”, manovrando il voto legislativo a due turni.

Il gollista moderato Michel Barnier (un veterano della Commissione Ue) e infine il centrista cattolico Bayrou non hanno fatto altro che riproporre alle forze politiche la necessità di correggere il bilancio statale, con gli interventi e le riforme che in sette anni Macron non era riuscito – o non aveva voluto – varare (avevano fallito – dopo il 2022, anzitutto sulla riforma previdenziale – anche due premier del “campo macroniano”: Elisabeth Borne e Gabriel Attal).


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Ieri sera il gioco delle tre tavolette ha visto nuovamente cadere il premier, anche se nei fatti l’Assemblea ha bocciato una volta di più il presidente (che l’ambigua Carta gollista del 1958 incarica di “presiedere” l’esecutivo).

Non a caso si moltiplicano ora a Parigi le voci che chiedono a Macron di assumersi le sue responsabilità, dimettendosi e uscendo da una frenesia geopolitica ormai grottesca. È stato d’altronde così che il “volenteroso” Macron è sopravvissuto per un intero anno, trincerandosi nelle sue competenze costituzionali e rovesciando ostentatamente sul Parlamento la responsabilità della paralisi di governo a Parigi. Ha continuato a usare in modo spregiudicato un ruolo sempre più problematico di arbitro-giocatore. Ma ora per lui il gioco si fa sempre più difficile.

Domani in Francia è in programma uno sciopero generale con minaccia di mettere a ferro e fuoco le piazze come già fecero i “gilet gialli” prima della pandemia. Oltre ai sindacati e a forze politiche come La France Insoumise, protesteranno direttamente contro l’Eliseo movimenti antagonisti nuovi di stampo populista, come “Bloquons tout”.

E in attesa di vedere se i mercati daranno segni di maggior nervosismo sui titoli governativi francesi, su Parigi incombono le scadenze autunnali imposte dalla Ue a tutti i Paesi membri. La Francia riuscirà a presentare i suoi piani finanziari entro un centinaio di giorni?

Marine Le Pen, Francia
Marine Le Pen durante l voto di sfiducia al Governo Bayrou (ANSA-EPA 2025)

Già l’anno scorso Parigi aveva nei fatti eluso l’esame di Bruxelles sul deficit statale. E ieri Bayrou è stato bocciato su una bozza di manovra da 44 miliardi che non avrebbe comunque riportato subito il Paese entro i parametri Ue.

A caldo, ieri sera, non c’erano che le nude ma inequivocabili cifre del voto: solo 194 sì per il governo, 364 i no e 25 le astensioni (l’asticella, per ogni futuro esecutivo, resta fissata a quota 280). Contro il “centro macroniano” – allargato negli ultimi mesi a MoDem e a settori gollisti – sono schierati sia la destra lepenista sia la sinistra che un anno fa era uscita vincitrice (29,5%), anche se come “cartello” largo.

Ora invece il gossip guarda a un mini-ribaltone di Macron, a cuneo nella sinistra, per dividere il Partito Socialista da LFI di Jean-Luc Mélenchon. L’obiettivo resta scongiurare nuove elezioni anticipate, rischiosissime per il presidente; assicurare un minimo di stabilità d’immagine a Parigi (contando naturalmente su deroghe finanziarie Ue) e continuare a fare il player su uno scacchiere geopolitico in evoluzione.

È evidente come voglia attingere la scadenza naturale del mandato nel 2027 e tentare di condizionare la successione. Non rinunciando a polarizzare l’“antitrumpismo” globale largamente diffuso negli establishment tecno-finanziari (anzitutto nella Ue).

Il presidente nel 2024 aveva inizialmente puntato sulla “non sfiducia” di Rassemblement National (allora come ora primo partito francese su base proporzionale), per parare la pretesa della sinistra di guidare il governo. Caduto Barnier (e resa ineleggibile Marine Le Pen da una discussa pronuncia giudiziaria) l’opzione-Bayrou ha segnato una sterzata centrista, ma è risultata inservibile sul fronte cruciale della politica finanziaria.

Ora Macron potrebbe essere tentato dal gioco di rimbalzo sull’esteso rifiuto dell’austerità delineata dal premier uscente. Potrebbe quindi affidare Matignon a un socialista oppure a una personalità indipendente gradita al PS o da esso indicata. Il cammino si presenta ovviamente stretto e accidentato.

Una prima traccia è stata comunque lanciata ieri da Attal, che continua a essere il delfino del presidente dopo esserne stato uno dei premier-meteora. “Macron deve accettare di condividere il potere – è parso ammonire l’Eliseo – e nominare un negoziatore”. In concreto è possibile che stia lanciando l’idea di un “mandato esplorativo”: segno presumibile che Macron, ancora una volta, vuole guadagnare tempo.

P.S.: Di fronte alla grave crisi finanziaria del 2011, in Italia il presidente di una Repubblica parlamentare rimosse il premier in carica – pur dotato di una solida maggioranza conquistata alle elezioni – e impose un governo di salute pubblica affidandolo a un tecnico, un ex commissario Ue.

Neppure per un attimo il Quirinale valutò lo scioglimento delle Camere e il ricorso al voto democratico. Ieri nella Francia semipresidenzialista, l’ennesimo premier designato dal presidente della Repubblica è stato sfiduciato dal Parlamento, dopo aver proposto un piano di austerity di fronte all’aggravarsi di una lunga crisi delle finanze. E l’Eliseo sta valutando tutte le opzioni utili a non restituire la parola alla sovranità popolare.

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