Spesso si dice: abbiamo archiviato un cattivo 2020, ora vediamo cosa ci riserverà il 2021. Praticamente vorremmo comportarci come il venditore di calendari di leopardiana memoria. Purtroppo la situazione è diversa: quanto successo nel terribile anno appena trascorso, se non si provvederà a indirizzare meglio le politiche economiche degli Stati, continuerà nel 2021.
La pandemia esplosa nel 2020 ha trovato impreparate le governance di tutto il mondo. Non era prevista e, ancor oggi, a distanza di un anno, si sta cercando di inseguire il nemico nascosto senza mezzi adatti a prevenirlo. Pare che, a tempo di record, si sia riusciti a predisporre uno strumento, il vaccino, che lo combatta ma, ad oggi, nessuna medicina che ne blocchi lo sviluppo, una volta instauratosi all’interno delle persone.
Gli Stati hanno messo in atto pesanti provvedimenti, forse gli unici possibili, che però hanno provocato terrore nelle persone, paura di intraprendere iniziative, di muoversi, di mantenere e sviluppare relazioni. Forse una comunicazione più indirizzata al convincimento e meno alla costrizione avrebbe potuto ottenere migliori risultati. Si è avuta l’impressione che l’Occidente, anziché individuare un proprio metodo di reazione, abbia copiato il sistema cinese, difficilmente applicabile nelle nostre democrazie.
Sta di fatto che delle due emergenze in corso, salute ed economia, nessuna pare in via di rapida soluzione. Entrambe sono ora legate a una speranza: l’inoculazione del vaccino a livello mondiale. Solo questa soluzione potrebbe infondere nelle persone la speranza di un ritorno alla normalità, ove non ci si preoccupa di vedere chiunque si incontri come un potenziale nemico, richiudendosi nell’individualismo, impaurendosi al solo pensiero di poter sviluppare relazioni.
Prendiamo il caso delle manifestazioni fieristiche. Da un anno sono pressocché chiuse. Come può un’azienda sviluppare il proprio business senza presentare i prodotti sul mercato? Nei pochi casi in cui sono state realizzate, molte aziende non vi hanno partecipato per paura di contrarre infezioni ricevendo i potenziali clienti nel proprio stand. Come si può, allora, vendere?
I trasporti bloccati con le quarantene, che hanno costretto aziende a pagare per un mese un montatore affinché installasse un macchinario in tre giorni, non hanno permesso di promuoversi sui mercati. Questo giustifica i numeri che, dovendosi collegare ad anni, per tradizione temporale ci danno le seguenti indicazioni.
Mi riferisco al settore delle macchine utensili in quanto, come si sa, sta alla base di ogni processo industriale: essendo il bene di investimento principe, viene “consumato” solo se si hanno prospettive di incremento nella rapidità della propria produzione o nella presentazione di nuovi prodotti sul mercato.
Se guardiamo i numeri raccolti da Oxford Economics, in collaborazione con i centri studi delle maggiori rappresentanze mondiali dei produttori di macchine utensili, robotica e automazione, abbiamo evidenza che solo fra il 2022-2023 il consumo mondiale tornerà ai livelli del 2019, che già rispetto al 2018 era calato del 6,8%. Il crollo del 2020, anche per il blocco di ogni attività nel primo semestre dell’anno, si è attestato attorno al 24%. La ripresa, prevista per l’anno in corso, non sarà certo capace di compensare la caduta precedente.
L’Italia presenta alcuni punti percentuali di caduta ancora superiori. Qual è il maggior pericolo che corre la nostra economia? Il fatto che, dovendo comunque confrontarci sul mercato globale, avremmo bisogno di un potenziamento delle nostre Pmi. Ciò potrebbe avvenire tramite fusioni, incorporazioni o reti di imprese. Ma come ben sappiamo, la storia rivela la grande ritrosia del nostro mondo imprenditoriale ad accordi che obblighino a un potere decisionale condiviso.
Per superare questo ostacolo credo si debba intervenire con pesanti incentivazioni, per esempio rendendo fiscalmente neutre le plusvalenze che si generassero nel momento dell’operazione. Per quanto riguarda, poi, le reti di imprese, uno strumento nato negli ultimi anni, è necessario un intervento legislativo che incentivi economicamente le cosiddette reti a contratto, lo strumento più semplice e meno invasivo per operare insieme. Tutto ciò va realizzato rapidamente, cosi come debbono essere incrementate le azioni di governo nel campo di infrastrutture, automotive e formazione.
Il sistema manifatturiero si sostiene rafforzando le prime due attività, per cui è urgente affrettare gli interventi di manutenzione di ponti, strade, edifici che, oltre che necessari, garantirebbero grande spinta alla nostra economia. Nel contempo dobbiamo ben comprendere come l’Europa abbia una notevole competenza nei motori diesel e a benzina a inquinamento zero, ma pochissima nei motori elettrici. Pertanto tutte le tre possibilità debbono essere sostenute, cosi come l’ibrido, in egual modo.
Fondamentale sarà poi l’impegno nella formazione. Ci stiamo infatti avviando – e Industria 4.0 lo testimonia – verso un mondo sempre più digitalizzato e dunque bisogna muoversi con una duplice visione: da un lato, occorre migliorare le conoscenze di coloro che oggi operano all’interno dei complessi aziendali affinché non avvengano espulsioni, dall’altro, bisogna adeguare l’attività scolastica alle conoscenze applicative delle nuove tecnologie per indirizzare alle nostre imprese persone già predisposte ad addentrarsi nei nuovi campi dello sviluppo aziendale.
Nella situazione attuale non possiamo, però, dimenticare che siamo ancora in piena fase pandemica, che blocca, anche psicologicamente, il nostro agire. Sappiamo quanto il fattore psicologico influisca sui nostri comportamenti. L’unica possibilità di sblocco è la vaccinazione di massa. E su questa azione non è permesso ai Governi sbagliare: bisogna fare presto, fare presto, fare presto.