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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » Fed & Dollaro » CRISI & INFLAZIONE/ Da Jackson Hole un’altra lezione sugli effetti delle sanzioni

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CRISI & INFLAZIONE/ Da Jackson Hole un’altra lezione sugli effetti delle sanzioni

Paolo Annoni
Pubblicato 27 Agosto 2022
Jerome Powell (Lapresse)

Jerome Powell (Lapresse)

La Fed è determinata a combattere l'inflazione, che negli Stati Uniti ha radici completamente diverse da quelle europee

Al cuore del discorso del presidente della Federal Reserve a Jackson Hole ieri c’è stata la determinazione a combattere l’inflazione. La banca centrale americana continuerà ad alzare i tassi e li manterrà elevati fino a che non sarà convinta che l’inflazione non sarà tornata al 2%. Powell è perfettamente consapevole del “dolore” (“pain”) che dovranno subire famiglie e imprese, ma è altrettanto conscio che “la storia mette in guardia contro il ritorno a politiche monetarie espansive anzitempo” e che ” i costi per il mercato del lavoro crescono se la banca centrale ritarda”.


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Il mercato ha reagito vendendo azioni e i rendimenti delle obbligazioni sono saliti. Nelle ultime settimane si era fatta strada l’ipotesi o la convinzione che la banca centrale americana avrebbe rallentato le politiche restrittive di fronte al rallentamento economico. Quello che emerge con sempre maggiore evidenza è la distanza che ormai separa gli Stati Uniti dall’Europa. L’inflazione negli Stati Uniti è ancora fondamentalmente da domanda e causata dalle immissioni di liquidità senza precedenti della pandemia. I rincari energetici sono una frazione percentuale di quelli europei e questo implica che i profitti delle imprese americane sono ancora molto buoni e lo saranno sensibilmente più a lungo di quelle europee che invece vanno verso il baratro di incrementi energetici a tre cifre. 


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La Federal Reserve si può permettere di alzare i tassi e le imprese americane hanno spazio per aumentare i salari. Il danno collaterale delle politiche monetarie restrittive in America è molto minore che in Europa. Il Vecchio continente, invece, non solo va verso una recessione dura, ma subisce un’inflazione che non può sconfiggere con le armi della politica monetaria. L’inflazione europea non è da domanda; è tutta subita e importata a causa delle sanzioni che hanno tagliato l’Europa da un fornitore insostituibile nel medio periodo. Le imprese in questo contesto fanno enormemente fatica ad aumentare i salari. L’America per esemplificare non ha e non avrà mai il problema dei razionamenti che invece per l’Europa sono una realtà che si avvicina man mano che si approssima l’inverno.


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Il corollario di tutto questo è che essendo la Federal Reserve la banca centrale del mondo occidentale si assisterà a un progressivo ritiro della liquidità dei mercati. I primi a rimetterci sono gli estremi più periferici e malandati dell’impero. In questo senso le previsioni del Financial Times sull’attacco al debito italiano sono il segreto di Pulcinella e allo stesso tempo un rigore a porta vuota. L’Europa subirà sia le conseguenze della guerra alla Russia, sia quelle della politica monetaria americana che deve far rientrare le migliaia di miliardi di dollari stampati quando si è deciso di finanziare i lockdown a piè di lista.

Il Governatore della Bce non è neanche lontanamente nella condizione di fare lo stesso discorso di Powell di ieri. Le dichiarazioni del Presidente della Fed sono la prova provata di quanto immensa sia la differenza tra le conseguenze che l’Europa e gli Stati Uniti subiscono per la stessa guerra. L’attacco speculativo all’Italia è in ultima analisi un attacco alla costruzione europea perché il debito italiano è un multiplo di quello greco che dieci anni fa, in una situazione infinitamente migliore di quella attuale, quasi faceva cappottare l’euro. Se le valutazioni politiche non partono da queste considerazioni sarà difficile contenere i danni.

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Tags: InflazioneRecessione

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