CRISTIANI PERSEGUITATI/ Dopo l’attentato di Malawi nessuna “mobilitazione” ma la certezza del Padre nostro

- Andrea Mobiglia

Dopo la carneficina a "Charlie Ebdo" il modo si mobilitò, nessuno lo ha fatto dopo l'attentato di Malawi. Ma i cristiani hanno una certezza

cristiani_cattolici_chiesa_preghiera_1_lapresse_2016 (LaPresse)

Domenica 3 dicembre è avvenuto l’ennesimo attentato ai danni della comunità cristiana, questa volta a Malawi, nelle Filippine, durante la celebrazione dell’Eucaristia in una palestra: le vittime sono state 4 e i feriti circa 54. La notizia è stata ripresa, o per lo meno accennata, da alcuni siti, anche se nessuno di questi, davanti ad un fenomeno che non accenna a diminuire, ha avuto una reazione simile a quanto avvenuto in altri contesti: come dimenticarsi il “Je suis Charlie”, slogan di sostegno a Charlie Hebdo, con manifestazioni e dichiarazioni politiche in un clima teso e volto alla solidarietà verso un attacco alla sede del giornale satirico francese, dove persero la vita dodici persone? Allora, come in quest’occasione, l’attacco era stato orchestrato dall’Isis.

Nonostante l’autore dei due fatti sia il medesimo, purtroppo non stupisce il silenzio davanti a questi attacchi che coinvolgono la comunità cristiana. Ma cosa può significare questo attacco per tutte le comunità cristiane del mondo? Fermarsi a un’analisi del cristianesimo nelle Filippine, Paese a maggioranza cristiana (il 90% della popolazione è cattolica, anche se nella provincia di Lanao del Sur, nel sud del Paese, dove è avvenuto l’attacco, i cristiani sono una minoranza), certamente non basta né sarebbe sufficiente.

Questo triste fatto è, paradossalmente, occasione per riscoprire cos’è la Chiesa e cos’è la comunione tra i cristiani, che non è basata su una generica stima o su un sentimentalismo benevolo, ma che invece ha il suo fondamento ed è possibile solo a partire da Cristo e dalla comunione con Cristo vivo e presente, cioè contemporaneo all’uomo e ad ogni uomo: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1Cor 26-27).

Una comunione che, esemplificando senza per questo banalizzare la questione, ha un suo lato pubblico nella celebrazione della Messa: ovunque un cristiano si trovi, che sia all’estero o semplicemente lontano da casa, può entrare in una chiesa per parteciparvi. Dunque, la comunione della Chiesa non è l’analoga comunione politica espressa, ad esempio, nell’articolo 5 del Trattato Nato (“le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti”), ma è qualcosa di molto diverso, perché la natura stessa della comunità cristiana è differente: non è retta da un accordo politico ma è un fatto sacramentale ed esistenziale. Se infatti, rimanendo nell’azzardato paragone (ma forse fino a un certo punto), gli Stati possono scegliere di non avere alcuna comunione politica, al contrario la Chiesa universale, così come ogni chiesa particolare, non può non comprendere la comunione tra i suoi membri, perché questi sono “corpo di Cristo e sue membra”.

Se la Chiesa ha questo fondamento comunionale, allora non è possibile avere la stessa indifferenza del mondo dinnanzi a questo dramma che continua imperterrito, al contrario partecipa al dolore delle comunità colpite. Non è solo questione di comunione, ma di certezza della Presenza di Cristo nella Chiesa. Per questo colpiscono le parole del vescovo Edwin Angot de la Peña, a capo della Prelatura territoriale di Marawi: “L’attentato ha creato smarrimento, commozione e immenso dolore in tutti, cristiani e musulmani. Ci hanno colpito al cuore, cioè durante l’Eucarestia, momento più alto della nostra fede. C’è tanta paura ora, ma la fede ci accompagna e ci sostiene. Anche in questo momento di tribolazione avvertiamo la presenza del Signore”.

Ecco allora che la certezza della Presenza del Signore testimoniata dal vescovo non può che portare alla certezza, espressa nel Padre nostro, che “si venga liberati dal male”, anche dentro circostanze di persecuzione, come testimonia uno dei grandi Padri della Chiesa del III secolo, a sua volta perseguitato: “Quando diciamo liberaci dal male, non resta niente che dovremo ancora oltre ciò chiedere. Una volta ottenuta la protezione chiesta contro il male, noi siamo sicuri e custoditi contro tutto ciò che diavolo e mondo possono mettere in atto. Quale paura potrebbe ancora sorgere dal mondo per colui il cui protettore del mondo è Dio stesso?” (San Cipriano, vescovo e martire, De dominica oratione).

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