Nel 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani, il Papa ha voluto mettere in chiaro la posizione della Santa Sede. Questo testo «costituisce ancora oggi un altissimo punto di riferimento del dialogo interculturale sulla libertà e sui diritti dell’uomo». Ma subito dopo ha dato due importanti avvertimenti. Da una parte, milioni di persone vedono oggi minacciato il loro diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, e si sollevano nuove barriere in nome della razza, della religione o delle opinioni politiche. Dall’altra, se si prescinde dalla solida base etica della legge naturale, inscritta dal Creatore nella coscienza umana, i diritti umani si indeboliscono e si svuotano di vero significato.
All’interno di queste coordinate si situa la posizione della Chiesa davanti a una celebrazione in cui non le sono mancate gravissime accuse, da quella di omofobia a quella di crudeltà verso i disabili. E tutto perché la Santa Sede non sostiene i tentativi delle grandi lobbies che circondano le Nazioni Unite, per una riformulazione di fatto della Dichiarazione che includerebbe l’aborto e il matrimonio omosessuale come nuovi diritti, prevedendo severe censure, anche penali, per tutte quelle istituzioni (Stati, Chiese e organizzazioni civili) che si rifiutassero di accettarli come tali.
La situazione, in termini di opinione pubblica, è difficile per la Santa Sede, poiché un’ampia manovra di manipolazione la individua come nemica di un presunto progresso raggiungibile con l’estensione e l’aumento dei diritti umani. Così per esempio, l’opposizione mostrata a un testo sulla depenalizzazione universale dell’omosessualità presentato dalla Francia le è costata durissimi attacchi.
Questo testo consta di tre punti tra cui figurano richieste assolutamente condivise dalla Chiesa, come liberare le persone omosessuali da qualsiasi sanzione o discriminazione ingiusta, ma vorrebbe anche imporre l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, criminalizzando coloro che si oppongono a detta equiparazione, creando le basi per il loro perseguimento legale.
Un altro punto di frizione è stato il parere negativo di un osservatore vaticano alle Nazioni Unite alla ratifica di una Convenzione sui diritti dei disabili, perché tale documento non rifiuta l’utilizzo dell’aborto selettivo come mezzo per impedire la nascita di un disabile. Risulta particolarmente amaro il fatto che la Chiesa, da cui sono nati San Giovanni di Dio, Don Orione o Teresa di Calcutta, si veda accusata di negare ai disabili i propri diritti solamente perché qualcuno sostiene che l’imperfezioni di un feto è un motivo per permettere che si realizzi un aborto.
Nella giornata della celebrazione del 60° anniversario, il Segretario di Stato, cardinal Tarcisio Bertone, ha messo il dito nella piaga, avvertendo che i diritti fissati nella Dichiarazione Universale devono essere sempre difesi, ma è necessario contenere il fiume di petizioni per nuovi diritti in tutte le direzioni, per non confondere i veri e propri diritti con semplici desideri, spesso contingenti e parziali.
Questo è l’epicentro di tutte le polemiche, mascherate dal buonismo, dalla falsa compassione e dai pregiudizi ideologici contro la Chiesa: il dibattito sul fondamento antropologico dei diritti umani, che da un lato sono esaltati dalla tribuna mediatica e dall’altro rivisti in funzione di un supposto consenso perfettamente modellato dal potere culturale dominante.
Bertone ha ragione quando denuncia la confusione tra i diritti radicati nella natura umana e una cascata di rivendicazioni che devono misurarsi ragionevolmente con il proprio fondamento antropologico, ma c’è da riconoscere che, per quel che riguarda l’immagine trasmessa in maniera massiccia dai media, la Chiesa si trova in una situazione aspra e difficile.
Vedendo le polemiche di questi giorni, mi è tornata in mente la raccomandazione fatta da Gesù ai suoi di essere, oltre che ingenui come colombe, astuti come serpenti. E anche un altro avvertimento evangelico: «Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi». La Chiesa si sente chiamata a proteggere le dimensioni essenziali dell’uomo in un tempo di confusione e relativismo, in cui si discute precisamente di quel terreno comune che Benedetto XVI, a tutta ragione, è tornato a richiedere.
Questa situazione richiede dalla Chiesa creatività e intelligenza comunicativa. Lo so che questo non è il fondo del problema, ma sono cose che aiuterebbero e di cui, disgraziamente, manchiamo.