Lunedì a Brescia un uomo ha gettato dal balcone i suoi due figli prima di togliersi la vita. GRAZIANO TARANTINI commenta questo tragico fatto di cronaca
Cosa in un lunedì mattina di pioggia battente abbia scatenato in un uomo di Brescia il raptus omicida che l’ha portato a lanciare da una finestra del settimo piano i suoi due bambini e a porre poi fine alla sua esistenza, resterà un mistero impenetrabile. Lo sgomento è grande come il dolore, eppure non possiamo fermarci qui, non possiamo non cercare di capire che cosa si è inceppato in una situazione di apparente normalità.
Si dice che fosse senza lavoro da qualche mese e che avesse avuto poco prima una discussione con sua moglie. È chiaro che queste motivazioni non possono giustificare un gesto così atroce e nemmeno essere delle attenuanti. Tutte le spiegazioni sociologiche lasciano il tempo che trovano. Quanto è accaduto appartiene alla follia, categoria che da sempre alberga nell’uomo. Di recente ho conosciuto un ergastolano che non aveva mai commesso un crimine prima di accoltellare a morte sua moglie durante una lite banale. È un secondo che compromette per sempre il tempo futuro. Quando mi ha raccontato la sua storia mi son venuti i brividi pensando che poteva benissimo succedere a me. La follia quindi è un istante estraneo a quella che fino a poco prima era una vita normale.
È altrettanto chiaro che se la follia è esplosa all’interno di una vita divenuta difficile è segno di una grande solitudine. E questo è l’elemento di maggiore fragilità che ravviso in una società come quella di oggi. La solitudine fa scivolare spesso la sofferenza in disperazione e questa molte volte non trova altra soluzione a se stessa se non con la parola “fine”. I guai, le sofferenze, le difficoltà, il male stesso, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ma è come se oggi ci si illudesse di poter vivere prescindendo da questo dato.
E allora quando i conti non tornano tutto crolla. Ci si ritrova smarriti e soli con se stessi e si soccombe. La forza della nostra civiltà invece è sempre stata quella di trarre dall’avversità dei tempi e delle circostanze ragioni ancora più forti per ricercare un bene duraturo per la propria vita. È ciò che auguro da cristiano alla povera moglie e mamma rimasta sola.
“L’inferno dei viventi – scriveva Italo Calvino – non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continuo: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Questa è la sfida che ci riguarda tutti. Ogni giorno.
