ANTONIO GIGLIO E FORTUNA LOFFREDO/ Smascherare il male non è come giocare a ping-pong
Marianna Fabozzi, moglie di Raimondo Caputo, accusato dell’abuso e dell’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, potrebbe avere ucciso il proprio figlio, Antonio Giglio. MARCO POZZA

L’accusa riversata su una donna diventa in un battibaleno l’accusa di un intero palazzo, fino ad allargare le maglie e farsi colpa peccaminosa di un’intera comunità. L’astuzia del male è rimasta quella di inizio stagione, della Creazione: allearsi col sospetto, sparpagliare le carte con l’arte del generalizzare, tentare in tutti i modi di macchiare la realtà. Per poi, nel mezzo della rovina, destreggiarsi come nessun altro al pari suo: chi è nato fango, nel fango ci sguazza senza eguali.
Il famigerato palazzo dello stabile-3-scala-C di Parco Caivano (Napoli) racconta, in questi giorni, un intreccio di male e di sospetti, di misfatti tra i più viziati. La terra dei fuochi diventa la terra del fuoco incrociato, gratuito. Una storia sporca di due bambini violentati e ammazzati: Antonio Giglio, Fortuna Loffredo. Vicenda che va a calarsi dritta in un incrocio di storie, di rapporti, di rivalsa. Giusto a Napoli, città che è per natura incrocio di sangui, di accenti, di posizionamenti: Raimondo Caputo, Marianna Fabozzi (la mamma del piccolo Antonio), Mimma Guardato (la mamma di Fortuna). Nomi non-più-nomi, nomi propri sostituiti all’istante col nome del reato per il quale sono accusati: il pedofilo, l’infanticida, la collaboratrice. Il popolo non si chiama più popolo, si chiama omertoso. L’omertà è un’accusa, quasi reato. Il popolo è un’entità.
Il male, quando batte il martello, scaglia colpi da capriole: la sua densità è seconda solo a quella del bene, per chi sa accorgersene. Altrimenti è assoluta, anche devastante. Tutti a chiedere giustizia, com’è doveroso. La giustizia, però, è affare serio, appartiene alla semantica dell’amore: parla di giuste proporzioni, s’avvicina alla misura-aurea dell’arte, è lavoro di ago e filo più che di scavatore. Il verbo della giustizia non è colpire, è sradicare: odora di radice, di sotto-terra, di roba ostica da strappare. Per sradicare occorre essere certi che è quella la radice dell’albero malato: andarci a caso, al contrario, è rischiare di far morire alberi ancora sani. Il contrario della giustizia non è l’ingiustizia, il suo opposto è la menzogna: lo sradicare alberi a caso per cercare di togliere l’unico albero malato. La giustizia è di Dio, la menzogna è di Lucifero: “Provava a governare la situazione progettando menzogne. Quanto dev’essere importante per gli uomini la legge, per ridurli a questo” scrive Erri De Luca, napoletano, nel suo In nome della Madre. Parla di Giuseppe, anche qui storia di una paternità difficile da decifrare. Intervenne un angelo, quella volta, e tutto si risolse per il meglio: “Mi aveva creduto, ero felice e calda di gratitudine per lui”. Il male, il patriarca della menzogna, non ha paura di nulla. Eppure, in fronte al bene, trema. Teme.
La parrocchia di Caivano è retta da don Maurizio Patriciello: scorza dura, materia prima di un Dio ricreatore. E’ il prete che i fuochi li conosce come pochi altri, per questo s’inginocchia: “Non accendete altri roghi sul mio popolo. Già brucia”. Parla di silenzio, di serenità, di consolazione: parole che sembrano complici dell’omertà di cui li si accusa. Invece sono l’esatto opposto dell’omertà: smascherare il male è azione d’altissima chirurgia, mica una partita a briscola. Funziona come nella cura dei tumori: prima d’asportare la massa, occorre ridurla. Cicli di chemio e di radio. Anche il male è razza tumorale, una mamma maligna: va sbollita la rabbia, va diminuito il livore, vanno rasserenati gli animi. Per poi tentare di darci la botta finale, per poi sradicarlo con sentenza-definitiva. Sradicato il male, s’imparerà poi ad usare i termini giusti: non “il pedofilo”, ma la persona accusata di pedofilia. Non l’infanticida, ma la mamma accusata d’aver ammazzato il bambino: è la riabilitazione del linguaggio. Non sono quisquilie: è che assolutizzare il male è fare il suo gioco. Riportarlo alla giusta misura è accerchiarlo. E’ quello che tutti chiedono: per Antonio, per Chicca. Sradicare il male non può diventare una partita di fango: Satana impazzirebbe dalla gioia.
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