Nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia conclusosi lo scorso aprile, risultava nell’elenco degli imputati con l’accusa di falsa testimonianza anche l’ex ministro Dc ed ex presidente del Senato Nicola Mancino. Contro l’ex politico si erano espressi i pm chiedendo a suo carico una condanna a 6 anni di reclusione ma la procura di Palermo non ha presentato appello contro la sua assoluzione, i cui termini scadevano proprio nella giornata di oggi. Di conseguenza, l’assoluzione di Mancino è da considerarsi definitiva. Oltre all’ex ministro, vi erano altri otto imputati nel processo con accuse pesantissime per i coimputati ai quali erano stati accusati di aver avuto contatti con Cosa nostra negli anni delle stragi, garantendo in cambio della fine degli attentati alleggerimento delle condanne e impunità per il boss mafioso Provenzano. L’assoluzione di Mancino non è stata impugnata neppure dalla procura generale.
LE ACCUSE ALL’EX MINISTRO MANCINO
L’ex ministro Nicola Mancino, tra i 9 imputati del processo sulla Trattativa Stato-mafia, come rammenta il quotidiano La Repubblica nella sua edizione online, era stato accusato di un reato differente rispetto a quelli di minaccia a Corpo polito dello Stato e concorso in associazione mafiosa. Erano questi i reati contestati agli altri imputati nel medesimo processo, ovvero i boss Leoluca Bagarella e Nino Cinà, Massimo Ciancimino, Marcello Dell’Utri, il pentito Giovanni Brusca e gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Contro Mancino, dunque, la sola accusa di falso in merito a due circostanze. In riferimento alla prima, avrebbe negato che l’allora Guardasigilli Claudio Martelli nel 1992 gli avesse riferito dei dubbi sull’operato dei militari di Mori. Avrebbe inoltre detto il falso anche in riferimento ai suoi rapporti con l’ex primo cittadino mafioso, Ciancimino. Per la procura era ritenuto il referente politico della trattativa e sostenitore di una linea mafiosa decisamente più soft.