Rosario Livatino non fu solo un eroe civile, ma un vero santo. Lo sostiene chi ha testimoniato per il magistrato ucciso dalla mafia a soli 38 anni. Nei giorni scorsi si è infatti chiusa la prima fase diocesana del processo di beatificazione. A 28 anni dall’agguato del commando della Stidda, che lo colpì a morte, c’è ancora un processo nella storia di Rosario Lavativo, stavolta di canonizzazione. Fu avviato formalmente sette anni fa dall’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro. Sono state raccolte oltre quattromila pagine di documenti e testimonianze, tra cui ci sono episodi di apparente normalità che però stupivano chi gli stava accanto facendolo apparire speciale. Se la Chiesa riterrà che davvero quella guarigione è inspiegabile, il “martire della giustizia e indirettamente della fede”, così come lo definì Giovanni Paolo II, non sarà più il giudice “ragazzino” ma quello Beato. Se la Congregazione per le cause dei santi deciderà di andare avanti, verrà esaminato anche il presunto “miracolo”, quello di Elena Valdetera Canale, una donna del Pavese che soffriva di leucemia. Afferma di essere guarita dopo averlo sognato e poi riconosciuto leggendo la sua storia su un settimanale.
ROSARIO LIVATINO, SANTO IL GIUDICE UCCISO DALLA MAFIA?
Tra le 45 testimonianze c’è quella di Gaetano Puzzangaro, uno dei quattro killer che all’epoca dei fatti aveva 20 anni e che ne ha trascorsi 28 in cella. «Ha intrapreso un cammino di conversione. Ha mostrato disponibilità a rispondere alle nostre domande. Il suo è un racconto importante, significativo», ha dichiarato don Lillo Maria Argento. Al termine delle udienze Rosario Livatino andava a stringere la mano dell’imputato, per rispetto, e dava a un collaboratore familiare delle buste con i soldi da consegnare a persone che ne avevano bisogno, restando però anonimo. Lo ha raccontato don Giuseppe Livatino, che ha una lontanissima parentela. Per dieci anni Livatino aveva indagato in Procura prima di diventare giudice l’anno prima di morire. Inchieste su mafia e corruzione. Durante la sessione pubblica di chiusura dell’iter diocesano, è stato letto anche un testo scritto da Livatino nel 1986: «Compito del magistrato non deve essere solo quello di rendere concreto il comando astratto della legge, ma anche di dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine».