Rosalia Basile, moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, ha deposto nella giornata di oggi, giovedì 20 marzo, nell’ambito del processo sul depistaggio delle indagini relative alla strage di via D’Amelio e nella quale persero la vita il magistrato italiano Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta. Per la prima volta, Basile ha rivelato che l’ex marito aveva contatti con i pubblici ministeri, asserendo in merito: “Ho trovato a casa dei foglietti del mio ex marito con i numeri dei cellulari e dell’ufficio dei pm, all’epoca in servizio a Caltanissetta, Nino Di Matteo, Anna Palma, Carmelo Petralia e Gianni Tinebra”. La donna, come riferisce La Sicilia nell’edizione online, ha anche ricordato che Scarantino “A volte si chiudeva in stanza per parlare con loro al telefono”. Una novità clamorosa, quella emersa oggi, in quanto la donna non aveva mai rivelato dei rapporti telefonici tra il marito e i magistrati, ora confermati anche dalla presenza dei bigliettini che la testa ha consegnato nel corso dell’udienza. Il processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio e che si sta svolgendo a Caltanissetta, vede imputati tre funzionari di polizia Bo, Ribaudo e Mattei. Sono sono accusati di aver creato a tavolino falsi pentiti, tra cui lo stesso Scarantino, costringendoli poi a raccontare una verità di comodo sull’attentato del 19 luglio 1992.
DEPISTAGGIO BORSELLINO, IL RACCONTO CHOC DELL’EX MOGLIE DI SCARANTINO
Sentita in qualità di testimone, Rosalia Basile, moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino ha reso oggi in aula un racconto drammatico, le cui parole sono state riprese da BlogSicilia.it: “Per costringerlo a parlare e a mentire lo picchiavano, approfittavano della sua debolezza psicologica dicendogli che io lo tradivo, gli mettevano i vermi nella zuppa, minacciarono di inoculargli il virus dell’Aids. Ero certa che lo avrebbero ucciso”. La donna ha poi accusato l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera – nel frattempo deceduto – definendolo la mente del piano mirato a depistare le indagini attraverso la creazione di falsi pentiti. Quindi ha aggiunto ulteriori dettagli: “Dopo la detenzione a Pianosa improvvisamente ammise il furto della 126 usata come autobomba per la strage. Mi disse ‘devo farlo anche se sono innocente altrimenti mi ammazzano’”. A suo dire, tentò di contattare la signora Borsellino per riferirle quanto accadeva al marito “Mi rivolsi anche al Papa e al capo dello Stato. Citofonai a casa Borsellino scese un uomo che mi disse che la signora non se la sentiva di parlarmi visto il lutto sofferto”, ha aggiunto.