Il sole di gennaio illumina un villaggio in Giordania, dominando sui canyon scoscesi e aridi che scendono a Petra, giù fino al mistero che avvolge i templi e le tombe di arenaria rosa di Nabatea. Ma il gruppetto all’interno della sala da ballo dell’albergo non ha tempo di guardare il paesaggio, perché deve risolvere un problema. Tutti e tredici infatti, suddivisi in gruppi e davanti ai computer, cercano una soluzione al bug di un software per calcolare la posizione degli elettroni in una molecola di acetilene.
Siamo nel bel mezzo di un workshop dal titolo “La struttura elettronica delle molecole”, tenutosi in Giordania, a Petra, dal 12 al 19 gennaio 2006. Le nazionalità dei tredici giovani chimici, tra i venticinque e i trentotto anni, riassumono in breve il contesto in cui si svolge: quattro provengono dalla Giordania, tre da Israele, due dalla Palestina, due dall’Iran, uno dall’Arabia Saudita, uno dalla Siria, e sei su tredici sono donne. Due mesi prima dell’inizio della conferenza, sono esplose delle bombe negli alberghi di Amman, il giorno dopo la chiusura della conferenza esploderà una bomba a Tel Aviv. Qui i giovani lavorano nove ore al giorno, mentre nella tarda sera si distraggono, sedendosi in cerchio a suonare e cantare. Alcuni bevono vino, altri aranciata.
Questa è la mia sosta invernale, lontano dall’Università di Cornell ad Ithaca. Ho ricevuto un Discovery Corps Senior Fellowship dalla National Science Foundation per gestire tre workshop, di cui questo è il primo. Gli altri due si svolgeranno nel 2006 e nel 2007, rispettivamente in Egitto sulla nanochimica e in Qatar sulla chimica bioinorganica con la partecipazione di grandi chimici, miei amici. Dopo il successo delle due conferenze di Malta, con sessantacinque chimici provenienti dai Paesi arabi e da Israele, ho voluto portare lo spirito di questi incontri di Malta a un livello che potesse coinvolgere i giovani, i probabili futuri leader nella loro professione. Ho anche voluto che i seminari si tenessero proprio in questa regione, in Medio Oriente.
Così questi giovani sono giunti a Petra. Tra di loro non si conoscevano, anche se provenivano dallo stesso Paese. Insieme a me sono arrivati un istruttore ricercatore, Pere Alemany, professore all’Università di Barcellona, e la coordinatrice della conferenza, Vanessa Buisson, statunitense. Abbiamo lavorato per nove ore al giorno anche il venerdì, il sabato e la domenica, con brevi interruzioni il venerdì per le preghiere alla moschea, e per l’accensione delle candele in occasione dello Shabbat. L’argomento del corso era il legame molecolare, di cui Pere e io siamo specialisti, ma il corso è andato oltre la semplice chimica teorica. L’ultimo giorno uno dei partecipanti ha detto: “Grazie per aver fatto di nuovo rivivere per me la chimica”.
Al nostro workshop c’è stato anche un contributo italiano. Nella sessione pomeridiana, gli studenti hanno lavorato con un simpatico software per calcolare (e mostrare graficamente) la posizione degli elettroni nelle molecole. Il programma, creato da un gruppo del Cnr di Firenze con Carlo Mealli, Andrea Ienco e Davide Proserpio, ha rappresentato anche una bella occasione per socializzare.
Tuttavia, perché qualcuno in Medio Oriente dovrebbe interessarsi agli elettroni? Beh, le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di una molecola sono determinate da elettroni in quelle disposizioni persistenti di atomi che chiamiamo molecole. Il fatto che la morfina abbia una determinata forma, che sia un antidolorifico (come sa chi è stato operato), ma anche una possibile droga, tutto ciò può essere attribuito ai movimenti degli elettroni intorno al nucleo. Gli elettroni si muovono in orbitali, orbitali atomici, orbitali molecolari, posizioni assegnate agli elettroni dalla meccanica quantistica. Proprio dagli orbitali, la cui forma può assomigliare talvolta a sfere, talvolta a degli otto o a dei motivi floreali, è possibile dedurre la struttura del legame molecolare.
Gli atomi si legano, o non si legano, in maniera molto particolare, dando vita a molecole più grandi e utili, la cui complessità rende possibile ultimamente la ricchezza della vita, quell’equilibrio tra rischi e benefici che fa sì che la molecola significhi qualcosa per noi. Gli elettroni sono frammenti di materia con carica negativa, mentre i nuclei hanno carica positiva. L’attrazione delle cariche opposte è maggiore della repulsione di quelle uguali, così gli atomi si legano, talvolta condividendo gli elettroni, talvolta trasferendoli dagli uni agli altri. Inanimati, gli atomi non hanno scelta: date le condizioni, siano la temperatura e la pressione di Ithaca o quella di Petra, essi si legano. Gli esseri umani, invece, possono scegliere.
Abbiamo fatto una gita a Petra, e nel canyon un giovane laureato proveniente dalla Siria, che studia in Libano, ha cantato una malinconica canzone armena che mi ha commosso. Una sera il gruppo ha cucinato una ricetta giordana, tagliando prezzemolo e cipolle per il tabouli, friggendo falafel. I giovani hanno legato tra loro, attraverso la condivisione del lavoro, uniti dall’impegno dei loro professori e dal proprio desiderio di imparare. Un partecipante proveniente dalla Giordania ha detto: “Loro (gli israeliani) questa settimana sono diventati parte di me”.
C’era molta ignoranza reciproca da superare. Uno studente israeliano non aveva mai colloquiato con uno scienziato arabo. Un iraniano, all’inizio molto dubbioso, ha finito per capire perché gli ebrei vogliono vivere in Israele. Credo che si parlasse molto di religione, conseguenza della scarsa conoscenza che gli uni avevano degli altri. Ma si è parlato anche di politica.
L’ultima sera a Petra il workshop si è concesso una cena fuori. Giunta l’ora di tornare a casa, faceva freddo, ma non vi era traccia dell’autobus. Una delle donne si è messa a cantare una canzone araba che accompagna un gioco per ragazze, dove si balla in cerchio e al centro c’è una persona che finge di essere triste. Quando la canzone finisce, la persona esce dal cerchio ad occhi chiusi scontrandosi così con un’altra, che a sua volta si mette al centro e il ballo ricomincia. Abbiamo ben presto imparato le parole e tutti si sono messi a giocare. Il calore ha investito il nostro gruppo: con scarsa illusione, ma con la speranza, questa sì, che il cerchio, i miei studenti che si tengono per mano, rimanga. Un simbolo, ma molto più di un orbitale atomico.