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Home » Cultura » ’68, una rivoluzione borghese che ha generato la «dittatura del desiderio»

  • Cultura

’68, una rivoluzione borghese che ha generato la «dittatura del desiderio»

Continua l’inchiesta de ilsussidiario.net sul Sessantotto, con l’intervista al vicedirettore del quotidiano Il Giornale Michele Brambilla. L’eredità principale del Sessantotto, secondo Brambilla, è lo slogan «vietato vietare». Leggi anche gli approfondimenti di GIOVANNI COMINELLI e UGO FINETTI. All'interno i precedenti interventi di Mastrocola, Brandirali, Marino e Bertazzi    

Int. Michele Brambilla
Pubblicato 10 Aprile 2008
Caroline_de_Bendern_1968_FN1

Qual è stata la particolarità del ’68 in Italia, rispetto a quanto accaduto nel resto d’Europa e del mondo?

La particolarità sta nel fatto che in Italia il Sessantotto, come presenza visibile nelle piazze, nelle università, nelle scuole, è durato dieci anni: un arco di tempo che va dal 1968, appunto, fino al sequestro Moro. Dopo il dramma di Moro è rimasto soltanto il terrorismo. L’ultima grande manifestazione di piazza collettiva è stato il raduno degli “indiani metropolitani”, gli autonomi, a Bologna nel settembre del 1977. Ma si trattava comunque di una genìa diversa da quella del ’68, di una nuova generazione di rivoltosi.


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Come si è evoluto e strutturato in questi dieci anni il fenomeno “Sessantotto”?

Facciamo un’esemplificazione significativa. Se si osservano le fotografie delle prime manifestazioni del ’68, si vedono gli studenti in giacca e cravatta, ben pettinati, che contestano presumibilmente come avrebbero contestato i loro genitori. Una generazione ancora molto legata al mondo da cui proveniva. Basta guardare le fotografie di un anno dopo e si vedono barbe lunghe, maglioni sfatti, l’eskimo etc. Era cambiato tutto rapidamente. Il ’68 è stata l’esplosione di una generazione occidentale, che andava dagli Stati Uniti a Francia, Germania, Italia, cioè la parte più ricca del mondo: non era la rivolta dei poveri contro i ricchi, era la rivolta dei figli contro i genitori nella parte più ricca del mondo. Una società meno benestante di quella attuale, ma sicuramente la società più ricca e più libera della storia dell’umanità. E’ vero che gli operai avevano stipendi più bassi in Italia che altrove, è vero che era più facile per i figli dei ricchi fare l’Università rispetto al figlio di un operaio, ma è anche vero che prima era ancora peggio: si trattava di una società imperfetta, una società con una buona dose di autoritarismo, di ipocrisia, di formalismi, ma sicuramente era molto più libera di quanto lo fosse mai stata prima. E’ stata una protesta, una contestazione che ha portato una rivoluzione tutto sommato borghese, per rivendicare una maggior libertà dei costumi, dei modi di vivere. Il ’68 ha spazzato via il concetto di autorità, di padre, di famiglia, quindi anche un certo senso della parsimonia, del risparmio; è stata una grande rivoluzione borghese di costumi, tant’é vero che le conseguenze che vediamo oggi di cos’é rimasto del ’68 sono proprio il divorzio, l’aborto e una maggior libertà dei costumi.


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Oltre al dato cronologico, e all’evoluzione che in questo arco di tempo si è generata, qual è stata la caratterizzazione politica del Sessantotto italiano?

La particolarità italiana fu che, per un accidente della storia, il ’68 è stato scambiato, da un certo momento in poi, per un fenomeno politico di sinistra; il Partito Comunista, ingenuamente, ha cercato di cavalcare questo movimento, credendo di portare la generazione che andava in piazza dalla propria parte. Di fatto non c’é riuscito, perchè i sessantottini vedevano il Pci già come una cosa antiquata, legata alla tradizione della Resistenza; il Pci era poi un partito molto rigido, formalista, con molte regole. E’ accaduta in Italia questo stano fraintendimento per cui chi scendeva in piazza ha pensato di essere di sinistra, e ha formato movimenti di estrema sinistra. Alcuni di questi si ispiravano allo stalinismo, come il Movimento studentesco; altri al leninismo, come Lotta continua; altri al maoismo, come Servire il popolo; altri erano particolarmente violenti, come Avanguardia operaia. Il fatto singolare è che il ’68 nasce qualche anno prima negli Stati Uniti con i “figli dei fiori”, con la contestazione di una generazione che chiede libertà, che vuole essere “anarcoide”, libertaria; poi invece, qui in Italia, va comunque a scegliere uno strumento ormai obsoleto com’era l’ottocentesco marxismo-leninismo.


STORIA/ Da Paolo VI a Francesco, la rivoluzione (sociale) dei cuori cambiati da Dio


Il contributo di Giovanni Cominelli si conclude proprio con questa domanda: come mai un fenomeno di origine americana, in Italia inizia a un certo punto ad usare un linguaggio fatto di termini come «rivoluzione», «abbattimento dello stato borghese»?

E’ questo il nodo da risolvere. Probabilmente perchè l’Italia aveva un Partito comunista molto forte, e aveva anche una classe imprenditoriale particolarmente avida e chiusa alle istanze sociali: è vero che in Italia gli stipendi erano pagati meno che altrove, ed è vero che si verificavano molte morti bianche perchè diversi imprenditori non ottemperavano alle norme di sicurezza. Da questo grosso serbatoio che era il mondo della sinistra italiana, quando è scoppiato il ’68 i giovani hanno attinto. Tuttavia hanno capito di non essere adatti a stare nel Pci (era comunque qualcosa che consideravano ancora appartenente al mondo dei padri, quindi vecchio) e si sono illusi di vedere delle versioni più presentabili del marxismo-leninismo. Hanno considerato che il Pci in Russia era fallito, quindi si sono rivolti ad altri modelli, come la Cambogia, il Vietnam, Cuba, la Cina; ed è così venuto alla luce anche tutto il movimento terzomondista. Poi anche questi modelli si sono frantumati e non è rimasto più nulla. Ecco che nel 1977 quello che resta è la generazione dei cosiddetti “fricchettoni”: quelli che si politicizzano in quell’anno si chiamano “Autonomia”, proprio perchè rivendicano tale autonomia da tutta una tradizione di sinistra. Cercano una nuova sinistra, ma anche lì politicamente finisce tutto nel nulla. Rimangono solo le Brigate Rosse.


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Guardando alla contemporaneità, cos’é rimasto del ’68? Cosa ci portiamo come impronta, lascito o eredità di quel periodo? C’è stato un semplice cambiamento dovuto al passare del tempo, o il ’68 in particolare ha lasciato qualcosa di suo?

Il ’68 sicuramente ha cambiato l’Italia in profondità, e ha purtroppo vinto; ha perso politicamente, ma la radice profonda del ’68 (che era una rivoluzione totale dei costumi, era spazzare via la tradizione di un popolo) purtroppo ha vinto. A questa considerazione alcuni rispondono che tutto ciò sarebbe successo comunque; ebbene, tutto ciò si è però concretizzato e incarnato attraverso quel fenomeno che é stato il ’68. La storia non è fatta da un gruppo di persone che cambia il mondo; tutto è collegato. Lì i tempi stavano maturando, e quello che noi riconosciamo come 68 è il periodo in cui tutto questo esplode, in Italia in modo particolarmente violento. La conseguenza è che l’Italia di allora è irriconoscibile rispetto a quella di oggi. Paradossalmente l’Italia del Grande Fratello non ci sarebbe senza il ’68 , anche se a prima vista sembra una cosa lontanissima dalla sinistra. In realtà il 68 è stato uno spazzare via un modo di essere, una tradizione che ha permesso di togliere il freno a tutto, al modo a cui si vivono la sessualità, i consumi etc. La «dittatura del desiderio» è la conseguenza principale di quegli anni. Il ’68 ha certamente spazzato via falsi miti: l’enfatizzazione di patria e dell’esercito, l’idea che l’autorità avesse sempre ragione, una certa ipocrisia nel vivere la vita famigliare, la fine di tanti formalismi. Il problema è che ha spazzato via anche le cose positive. Uno degli slogan del ’68 era «vietato vietare»: quello è ciò che rimane oggi.


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