L’annuncio di un convegno internazionale sull’evoluzione organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana in collaborazione con Notre Dame University (Indiana, USA), pone nuovamente in primo piano la questione dell’evoluzionismo in rapporto alla Chiesa Cattolica.
Non a caso il convegno si svolgerà sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, e all’interno di un progetto (STOQ: Science, Theology and the Ontological Quest) che coinvolge altre 6 università pontificie. Le reazioni di fronte di questo evento, organizzato in occasione del bicentenario di Darwin e del 150 anniversario della pubblicazione di “The Origin of Species”, saranno sicuramente contrastanti. Una prima reazione può essere di diffidenza: è già accaduto qualche mese fa, dopo i primi accenni a questa iniziativa.
Una parte dell’opinione pubblica, tra cui anche alcuni scienziati, possono vedere con sospetto (non vorremo dire con pregiudizi) che da parte cattolica si affrontino questioni di carattere scientifico, che stanno al centro della nostra visione del mondo, fisico e biologico.
Non saremmo, si domandano, di fronte ad un tentativo di reinterpretare in chiave “creazionista” l’evoluzione darwinista, magari facendo appello al cosiddetto “Intelligent Design”? Scorrere velocemente l’elenco dei partecipanti dovrebbe bastare a dissipare tale diffidenza. Alcuni tra i più noti esponenti della biologia evolutiva presenteranno lo stato attuale della teoria. Lo scopo dell’iniziativa è, in primo luogo, presentare quello che oggi conosciamo della nostra storia biologica, con il rigore e oggettività della scienza.
È questo che richiede quella prospettiva aperta che è caratteristica della scienza, sempre consapevole del suo carattere provvisorio e critico. Il modello neo-darwinista, o “sintesi moderna dell’evoluzione”, che oggi costituisce il quadro comprensivo generale dei fenomeni biologici, si trova di fronte a svolte di grande trascendenza, ad esempio nello studio della biologia evoluzionistica dello sviluppo (“evo-devo”), del ruolo dei processi epigenetici nei sistemi biologici, o dei processi si auto organizzazione nei sistemi complessi. Nessun tentativo, quindi, de “reinterpretare” l’evoluzione, ma seguendo una tradizione che si rifà ad Agostino, Tommaso d’Aquino e gli insegnamenti degli ultimi Pontefici, partire dalla conoscenza naturale, rispettando la sua giusta autonomia, per poi affrontare poi nelle dimensioni razionali e teologiche il senso e il valore della realtà. Ma c’è da aspettarsi anche una seconda reazione, che potremo chiamare forse di stupore. Non è un controsenso, si chiedono alcuni, che la Chiesa dia voce ad una visione del modo che sembra così in contrasto con una visione cristiana, e perfino credente, della realtà?
È infatti innegabile che la nostra cultura viene sottoposta ad una costante pressione da parte di interpretazioni ideologiche che prendono spunto dall’evoluzione per leggerla in chiave materialista. Qualche volta si arriva perfino ad uno sfacciato “proselitismo ateo”, di cui Richard Dawkins sembra essersi autonominato “cappellano”. E la reazione di fronte a tale pressione, anche se non maggioritaria tra i credenti, viene espressa qualche volta, purtroppo, in maniera pubblica, in modo tale da mettere in ombra le affermazioni tante volte ripetute da Giovanni Paolo II, e ora da Benedetto XVI, sulla possibilità di conciliare fede e scienza. Se è vero che una visione “ideologizzata” delle teorie darwiniste può risultare in contrasto con la fede, ciò non è da attribuire al contenuto scientifico della biologia evolutiva, ma appunto a quella carica ideologica che la accompagna. E non soltanto l’ideologia materialista può deformare il vero senso della scienza; anche molti atteggiamenti “anti-evoluzionisti” trovano alla loro radice un’ideologia che può ostacolare la comprensione dell’armonia tra ragione e fede, tra conoscenza scientifica naturale e conoscenza della realtà soprannaturale.
È quindi essenziale procedere ad un’accurata distinzione fra le teorie scientifiche che oggi ci consentono di comprendere evoluzione nel mondo biologico, e le possibili interpretazioni di carattere filosofico o forse ideologico con cui vengono a volte presentate. Per questo motivo il convegno affronta anche, nella seconda parte un ampio dibattito di carattere antropologico, filosofico e teologico sulle implicazioni che la teoria dell’evoluzione, nelle sue molteplici dimensioni, può oggi avere sui diversi aspetti della razionalità. Come teoria scientifica (o per essere più precisi, come insieme di modelli e teorie scientifiche), la biologia evolutiva non presenta nessun contrasto con la fede. Al contrario, essa può offrire uno stimolo per la stessa riflessione filosofica e teologica. Ciò non significa che le sue relazioni siano state sempre facili. Una nuova teoria, in particolare quando costituisce una sfida al paradigma scientifico comunemente accettato, produce sempre delle tensioni e talvolta scontri. Queste non sono mancate nemmeno nella Chiesa Cattolica, dando origine, negli ultimi decenni del XIX secolo a delle forti tensioni fra chi cercava di condannare l’evoluzione e i suoi sostenitori cattolici, appoggiati anche da importanti rappresentanti della gerarchia ecclesiastica. Le tensioni si sono affievolite nei decenni successivi. Come ricordava Mons. Ravasi nella presentazione del convegno, non si è mai arrivati ad una condanna dell’evoluzione.
È noto che dalla metà del XX secolo, quando la sintesi moderna dell’evoluzione si è definitivamente affermata, la sua piena compatibilità con la dottrina teologica è stata ripetutamente affermata. Le reazioni di diverso segno di fronte alla proposta di una riflessione aperta e non pregiudiziale sull’evoluzione biologica non possono sorprenderci. Semmai, costituiscono un’ulteriore conferma del fatto che oggi sia sempre più necessario affrontare con rigore e oggettività la relazione fra scienza e fede.