L’annuale convegno della Fondazione Russia Cristiana (Seriate, 17-18 ottobre) prende le mosse dall’ormai celebre discorso di Benedetto XVI al collegio dei Bernardini di Parigi, in cui il Papa parlò del monachesimo come determinato dalla ricerca dell’eterno e, quindi, come creatore di civiltà. Abbiamo chiesto ad Adriano Dell’Asta di introdurci ad alcuni aspetti dell’incontro
Professor Dell’Asta, la lettura fatta da Sua Santità Benedetto XVI si adatta anche al monachesimo orientale? Potrebbe fare qualche esemplificazione?
Il monachesimo occidentale e quello orientale, russo, sono il frutto di tradizioni diverse, ma queste diversità sono il modo originale e irripetibile di aderire all’unica verità di Cristo. Come spesso si dice, l’oriente può essere più liturgico, contemplativo e mistico, mentre l’occidente può essere più concettuale, attivo e normativo, ma quanto più quello che è decisivo diventa la vita con Cristo e in Cristo, tanto più le differenze diventano solo una ricchezza e non un’opposizione. Del resto, se davvero l’oriente è più liturgico e contemplativo dell’occidente, non si po’ certo immaginare un monachesimo occidentale senza contemplazione e vita liturgica. E sull’altro versante: la vita attiva, o addirittura l’influsso sulla società, non sono certo assenti nella tradizione monastica russa; di fatto, quando furono fedeli al carisma del fondatore e al desiderio di vivere radicalmente in compagnia di Cristo, i monasteri furono sempre un luogo di irradiazione della potenza di trasfigurazione del mondo che è tipica del cristianesimo. Se doveva cercare un sostegno e un modello di vita, il popolo guardava al monaco, anche in Russia.
Può farci qualche esempio?
Il monastero delle isole Solovki, nel mar Bianco, sorto nella prima metà del XV secolo, è un esempio in questo senso: fu un luogo attorno al quale la vita crebbe secondo tutta la sua complessità; e l’eredità della storia ce lo mostra: furono un luogo di bellezza incredibile, la bellezza della natura data da Dio, con il monastero e le sue icone create dagli uomini; e furono nello stesso tempo un luogo nel quale gli uomini imparavano a lavorare, per vivere, certo, ma per vivere nella bellezza, e allora il lavoro non era una condanna o qualcosa di facoltativo, ma una collaborazione con Dio, l’eterno che «è sempre all’opera».
Cosa ha significato essere monaci, nel senso compiuto descritto da Benedetto XVI, nella Russia sovietica?
Quando si parla del monachesimo russo il pensiero va sempre alle Solovki, perché le Solovki sono addirittura un simbolo della Russia in quanto tale: furono un esempio di quella ricchezza e pienezza di cui abbiamo appena detto e poi, dopo la rivoluzione, furono anche uno dei primi lager sovietici, il modello del sistema concentrazionario: punizione ed isolamento, lavoro forzato, sterminio dei «nemici del popolo». Vivere nella Russia Sovietica, per un monaco che voleva vivere da monaco, era impensabile: tutti i monasteri erano stati chiusi, spesso trasformati in prigioni, essere cristiano era un’anomalia che andava eliminata, tanto più esserlo in quella forma di testimonianza esemplare per tutti che è il monaco. Come ho detto, questo era impensabile, ma avvenne; e la fede si è trasmessa proprio perché qualcuno, nel mondo (spesso, anzi normalmente, senza aver fatto nessun voto), viveva esattamente l’esperienza di un’appartenenza totale a Cristo nella quale era possibile vivere con un senso e una gioia reali anche nelle condizioni più tragiche, dando senso a tutto anche in queste condizioni. «Verginità» in russo si dice «celomudrie», una parola che letteralmente significa «sapienza integrale»: il monaco, con la sua verginità, è colui che indica a tutti come è possibile che tutto abbia un significato buono e che questo significato sia vivibile per tutti e sia una possibilità di incontro e di unità per tutti.
Attenzione particolare è data dal vostro convegno alle forme monastiche non isolate dal mondo ma inserite nel vivo del contesto sociale. Perché?
La «sapienza integrale» del monaco è integrale proprio perché è per tutto e per tutti, in tutto; è un’esperienza che tocca tutte le sfere dell’essere: la vita pratica non meno di quella spirituale; è un’esperienza alla quale l’uomo partecipa con tutto il suo essere: con il corpo non meno che con la mente; ed è un’esperienza che cambia tutto l’essere, genera una cultura nuova, nella quale Cristo è «luce della ragione», così si canta nel tempo di Natale. La sottolineatura data dal convegno, quindi, è nelle cose; ovviamente ci sono stati lunghi momenti in cui questa verità è stata oscurata, ma questo fa parte della storia della vita di un popolo e di una tradizione, come il peccato fa parte della vita di ogni uomo. Per altro, proprio da questa integralità è nata la grande cultura russa, cioè la riflessione sull’esperienza che la gente viveva; perché questo è la cultura, cercare di capire e di dare forma, visibilità, di rendere insomma comunicabile e condivisibile quello che si vive e si reputa degno di essere ricordato e trasmesso. E questo comincia da subito, da quando la lingua viene segnata dal cristianesimo e il contadino chiama se stesso con un termine che suona quasi come il termine che significa cristiano, a quando Dostoevskij fa dire a uno dei suoi personaggi che se non esiste Dio lui non è più quel capitano che pure è. Persino all’inizio del XX secolo, in un momento in cui la Chiesa attraversava una crisi tremenda (poi sfociata nella catastrofe della rivoluzione) fu proprio nel riferimento a questa stessa Chiesa che sorsero alcuni dei fenomeni culturalmente più interessanti anche per il periodo successivo.
Come ormai tradizione, il Convegno di Russia Cristiana alterna voci occidentali a voci russe. A che punto è il dialogo culturale tra le due Chiese sorelle?
Il dialogo culturale prosegue, per quello che ci riguarda con azioni comuni, come quella di questo convegno o come l’attività della «Biblioteca dello Spirito», che è nata a Mosca nel 1993, per iniziativa tra gli altri proprio di Russia Cristiana, e che è diventata oggi un punto di riferimento per tutto il mondo culturale moscovita, con gli incontri che organizza (conferenze, concerti, proiezione di film, mostre) in certi periodi a cadenza addirittura quotidiana. Ma ovviamente non si tratta soltanto di quello che è dato di fare a noi: è un fatto che si respira un’aria di grande collaborazione e di grande desiderio di amicizia, sia nei rapporti tra le due Chiese sia, come si diceva, in ambito culturale. Ma soprattutto prosegue il dialogo della vita e dell’amicizia; del resto, se la cultura è quello che abbiamo detto non potrebbe che essere così. Del resto l’idea del nostro convegno è nata proprio constatando che il modo nel quale Benedetto XVI rileggeva la storia della cultura europea coincideva con una chiarezza esemplare e assolutamente simpatetica con quelli che erano i contributi migliori e più autentici della grande cultura russa.