Con questo articolo inizia la collaborazione a Ilsussidiario.net di padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana. Ormai da oltre cinquant’anni padre Scalfi è attento osservatore delle vicende prima sovietiche ed ora russe, in particolare per quanto riguarda la vita dei cristiani, ortodossi e cattolici, in quello sterminato paese ed acuto lettore della stampa russa. Egli ci terrà informati con una certa sistematicità su quanto di interessante si pubblica in Russia oggi. Si tratta sempre di articoli che, data anche la difficoltà della lingua e la disattenzione dei media nostrani, sarebbe altrimenti impossibile conoscere.
Nikolaj Mitrochin è un noto studioso di problemi religiosi. È un laico che, laicamente, parla della vita della Chiesa. Non c’è da aspettarsi un giudizio cristiano, ma ciò che dice è utile per comprendere la situazione di una Chiesa, doppiamente sorella, anche nelle difficoltà. L’articolo è apparso sul n.1(63) 2009 di Neprikosvennyj Zapas.
La Chiesa Ortodossa è oggi in Russia l’organizzazione religiosa più grande di tutto il territorio. Secondo le dichiarazioni del Patriarca Alessio II del giugno 2008, il numero delle parrocchie è di 14.290, il 50% di tutte le organizzazioni religiose registrate in Russia.
Sul numero dei cristiani non è facile trovare un accordo. Alcuni, fra i più ottimisti, dichiarano che l’80% della popolazione si professa ortodossa. Fra questi non sono pochi quelli che non erano neppur battezzati, ma si consideravano ortodossi per motivi culturali o semplicemente nazionali. Dalle inchieste più serie risulterebbe che nel 1999 i cittadini dichiaratisi ortodossi sarebbero il 55 – 60% della popolazione. C’è da credere che questa cifra corrisponda ai battezzati nella Chiesa Ortodossa. Tuttavia il fatto che una persona si dichiari ortodossa non significa che partecipi in qualche modo alla vita della Chiesa e aderisca almeno alle verità fondamentali del Cristianesimo.
Dai dati forniti dal Ministero degli Interni risulta che solo il 3,3% frequenta la chiesa nelle festività pasquali. In provincia non superano l’1%. Quelli che regolarmente frequentano la chiesa (almeno una volta al mese) sono lo 0,5% della popolazione. Quelli che celebrano in chiesa il matrimonio sono meno del 10%. I funerali celebrati in chiesa sono circa il 35%.
Dagli anni ‘50 fino agli inizi del nuovo secolo la maggioranza dei fedeli era costituita dalle cosiddette babuške, donne poco istruite e normalmente pensionate. Queste donne consideravano come propria missione quella di difendere la tradizione della Chiesa e molto spesso guardavano con sospetto i nuovi arrivati, alquanto disinvolti nel rispettare i modelli della tradizione.
Oggi i praticanti possono essere suddivisi in tre gruppi. Il gruppo dominante è costituito dalle donne di 40 – 50 anni, con una formazione culturale di medio livello; persone intellettualmente dotate e capaci. Nelle provincie si tratta per lo più di insegnanti delle scuole primarie e secondarie e, in minor numero, di alti intellettuali. Numericamente segue il gruppo formato dalle babuške e, come terzo gruppo, abbastanza consistente, quello delle ragazze dai 16 ai 25 anni. Sono per lo più studentesse universitarie non ancora spesate. Gli uomini in chiesa sono pochi, sebbene, soprattutto nelle grandi città, gli universitari siano presenti. Gli uomini appartenenti a classi sociali benestanti nella maggior parte dei casi non frequentano la chiesa, ma sono normalmente disposti ad aiutarla (molto spesso tramite le proprie mogli). Anche gli “intellettuali critici” collaborano con la Chiesa nelle opere di beneficienza. Meno attenti alla Chiesa gli uomini di mezza età che appartengono alle classi media e bassa. Di conseguenza, si approfondisce sempre di più la differenza fra i fedeli della città e i fedeli della campagna. Mentre nella città sono sempre più in maggioranza i fedeli istruiti e giovani, nelle campagne la maggioranza è formata da donne vecchie e da povera gente.
Il 90% del clero attuale è stato ordinato dopo la caduta del comunismo. L’estrema necessità di sacerdoti ha indotto la Chiesa ad ordinare “laici devoti”, la maggioranza dei quali non aveva alcuna formazione religiosa. Per rimediare a questa situazione in seguito si sono organizzati corsi di aggiornamento e “seminari per corrispondenza”, ma a tutt’oggi il basso livello di preparazione di molti sacerdoti preoccupa molti vescovi e i sacerdoti con una formazione religiosa più completa. Soltanto dal 2000 la preparazione degli aspiranti al sacerdozio può essere considerata normale.
Per i sacerdoti novelli che escono ora dai seminari e dalle Accademie la situazione si complica, perché i posti che attualmente assicurano al sacerdote e alla sua famiglia la possibilità di sopravvivere con un minimo di decenza sono ormai occupati. Si deve tener presente che il sacerdote di cura d’anime non prende nessuno stipendio dalla Chiesa e neppure dallo Stato. Un prete di campagna, dove la povertà è alta e la frequenza in chiesa è bassa, si condanna alla fame assieme alla sua famiglia. Una soluzione possibile è che il sacerdote trovi un’occupazione profana. Ma in questo caso, con il carico della famiglia e quello del lavoro, che tempo resta per la missione, su cui oggi insistono sia il Patriarca che i vescovi?
Altro ostacolo, che non riguarda soltanto il clero, anche se è presente fra i sacerdoti e in particolar modo fra i meno preparati, è il fondamentalismo che si esprime in due forme: il nazionalismo esasperato segnato da una certa nostalgia del recente passato e perfino per Stalin che “nonostante tutto ha fatto grande la Russia” e un autoritarismo clericale che pretende di dettare norme su tutto e su tutti. I sacerdoti che seguono questo indirizzo sono i cosiddetti mladostarcy (giovani sacerdoti ancora inesperti che si atteggiano a padri spirituali) i quali sono stati più volte condannati dalla autorità ecclesiastica, in particolare durante il sinodo vescovile del 2004. Dobbiamo riconoscere che all’interno del clero la tendenza al fondamentalismo sta progressivamente perdendo vigore, mentre persiste in maniera alquanto accentuata tra i laici.