Lo scorso 14 settembre 2010 si svolsero a Perugia una serie di manifestazioni in ricordo dell’ingresso delle truppe piemontesi in città, avvenimento che segnò la fine del secolare dominio pontificio sul capoluogo dell’Umbria e l’annessione al nuovo Stato unitario. Nella piazza centrale, di fianco alla Fontana Maggiore, venne allestito un pennone sul quale sventolò per tutto il giorno il tricolore, vigilato da una guardia d’onore dell’esercito, vestita con le uniformi della fanteria piemontese dell’epoca. Nella ricostruzione non si potè però fare a meno di commettere un errore storico, che può sembrare irrilevante, ma che invece possiede un forte valore simbolico: il tricolore guardato dai soldati nelle uniformi del “Regno di Sardegna” era quello della “Repubblica”! Un incongruenza storica che ovviamente non si poteva evitare: sarebbe stato non poco imbarazzante per i rappresentanti delle Istituzioni e per la stessa gente di Perugia veder sventolare al centro della città la bandiera con al centro lo scudo sabaudo; la bandiera cioè di uno Stato che non esiste più, la stessa dell’Italia fascista, quella, infine, definitivamente ammainata nel 1946 a seguito del referendum costituzionale.
Questo episodio sintetizza le difficoltà, sia a livello politico che di opinione pubblica, che abbiamo avuto nel festeggiare la ricorrenza dei 150 anni della proclamazione del Regno d’Italia, come conseguenza dell’unificazione della penisola a seguito dei ben noti avvenimenti militari del biennio 1859-1860: seconda guerra d’indipendenza, spedizione dei mille, discesa dell’esercito piemontese nel centro Italia e incontro a Teano tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi.
Perché tante difficoltà a celebrare questa ricorrenza, manifestate anche dalle polemiche nell’ambito della maggioranza di governo sul fatto di dichiarare, anche solo per quest’anno, il 17 marzo festa nazionale? Se è la festa dell’unificazione del nostro Paese, perché non la si celebra tutti gli anni? Può forse essere utile ripercorrere brevemente le ragioni di questi imbarazzi e titubanze per continuare a riflettere sul 150° compleanno dell’Italia unita.
In realtà tra lo Stato di cui facciamo parte, la Repubblica Italiana, e quello che realizzò l’unificazione c’è una continuità molto, molto sofferta. Certamente la Repubblica insiste su un territorio che è sostanzialmente lo stesso unificato sotto il Regno d’Italia tra il 1861 e il 1918, pur con alcune differenze di non poco conto (si pensi al caso dell’Istria). Scudo sabaudo a parte, la bandiera ha gli stessi colori e, soprattutto, l’attuale popolo italiano ha un’indiscussa continuità biologica e culturale con gli individui che, da protagonisti, oppositori o (per lo più) spettatori, vissero l’unificazione. Detto ciò, le differenze tra le due realtà vanno ben al di là di un semplice cambio di forma costituzionale (dalla monarchia alla repubblica). Esse sono così profonde, e anche dolorose, da rendere ancora oggi non unanimi e, purtroppo, in molti casi indifferenti – celebrazioni a parte – i discorsi sulla ricorrenza.
E’ inutile nasconderlo o girarci intorno: una volta realizzata l’unificazione, l’esperienza dello Regno d’Italia è stata breve e fallimentare, causando alle popolazioni italiane una tragedia dopo l’altra: la fiscalità predatoria sulle fasce più basse della società (ad esempio la “tassa sul macinato”), la repressione nel sangue delle rivolte popolari (non solo la continuamente ricordata repressione del brigantaggio nel sud, ma episodi tipo la strage di Milano del 1898, per la quale il generale Bava Beccaris ottenne riconoscimenti e un seggio al senato del Regno per aver cannoneggiato la folla), l’emigrazione ininterrotta di milioni di italiani che fuggivano come mai prima da una miseria che appariva crescente e senza speranza, il macello della prima guerra mondiale, la dittatura fascista e, infine, una nuova terribile guerra che portò eserciti stranieri a invadere il Paese regione per regione, città per città, da sud a nord, cosa che, in quelle proporzioni, non accadeva dalle guerre d’Italia del XVI secolo. A coronamento di questo sfacelo, l’infamia dell’8 settembre 1943.
La Repubblica che nacque dalle urne del referendum del 2 giugno 1946 è l’inizio di un’altra storia, “altra” non soltanto da un punto di vista istituzionale. Una storia che portò alla guida del Paese sessantacinque anni fa le rappresentanze delle forze popolari, cattoliche e socialiste, fino a quel momento escluse, prima da leggi elettorali penalizzanti e poi dall’avvento della dittatura. Nel 1946 prese avvio la storia di una Repubblica che, pur tra tanti errori, crisi e incapacità, è stata decisamente migliore di quella del Regno unificatore che l’ha preceduta.
Dopo aver superato tanto dolore e sacrifici, sarebbe stato assurdo non ricordare come singoli e come collettività il momento in cui l’Italia è stata unificata e iniziò a divenire non più solo una “espressione geografica”, come sosteneva l’austriaco Metternich. Tuttavia, sopra tutte le memorie del passato, non dimentichiamoci di attribuire pari dignità – e in chiave non meno unitaria – alla festa del 2 giugno.
(Francesco Vignaroli)