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Home » Cultura » IDEE/ Perché un grande romanzo ci fa conoscere il mondo?

  • Cultura

IDEE/ Perché un grande romanzo ci fa conoscere il mondo?

Giovanni Maddalena
Pubblicato 13 Maggio 2011
Uomo_Legge_LibriR400

Foto Fotolia

La letteratura è una forma di conoscenza? E se lo è, che tipo di conoscenza propone? Di rado la filosofia si è soffermata su queste domande. Il commento di GIOVANNI MADDALENA

La letteratura è una forma di conoscenza? E se lo è, che tipo di conoscenza propone? L’esperienza comune ci testimonia che spesso apprendiamo concetti, capiamo argomenti, decidiamo interi progetti di vita in virtù di un libro letto o di un personaggio letterario che ha esercitato su di noi un fascino decisivo. Ma che tipo di conoscenza è questa?


LETTURE/ M.T. Anderson e quei "ladri d’ossa" che rubarono le reliquie di san Nicola


Di rado la filosofia si è soffermata su questa domanda. Spesso autori o personaggi sono stati utilizzati come esempi, modelli, rappresentanti di un’idea. La tragedia greca di Nietzsche, Cervantes di Unamuno, Rilke di Heidegger, Sisifo di Camus, Dostoevskij di Pareyson, Dickens di Rorty: sono tutti esempi di autori, personaggi, stili che vengono assunti o come fonte di ispirazione o come campo di applicazione di una comprensione filosofica.


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Tuttavia, ciò non significa dire che la letteratura sia una forma di conoscenza. Secondo un antico adagio, che ha nello Ione platonico il suo archetipo, la letteratura – e la poesia in particolare – è qualcosa che si trova allo stesso tempo più “in alto” e più “in basso” della conoscenza.

La letteratura è più “in alto” perché viene dagli dei, è un’ispirazione che attinge a un piano più profondo di quello in cui gli esseri umani si muovono, ma i poeti e gli autori ne sono strumenti inconsapevoli. Non si tratta dunque di vera conoscenza, che richiede consapevolezza dei mezzi e dei fini. È qualcosa di ineffabile, che eccede la misura della ragione e che può essere la fonte dell’illuminazione della ragione stessa, ma non rientra tra i tipi di conoscenza e di ragionamento umani.


LETTURE/ "Il Papa delle cose nuove", capire l'enigma-Prevost tra codici binari e Agostino


Oppure, la letteratura è “più in basso”, è un esempio o un campo di applicazione. È un esempio quando certi autori forniscono uno o più esemplari concreti di un’idea filosofica. Dickens è per Rorty il rappresentante del “liberale ironico”, il disincantato protagonista di una società individualistica e solidale al medesimo tempo. Ma la letteratura può essere anche un campo di applicazione, come lo è stata per l’immensa produzione greimasiana sulla generazione del senso o per le innumerevoli “estetiche” legate a un paradigma filosofico più generale (l’estetica idealista, marxiana, esistenzialista, ecc.).

“Più in alto” o “più in basso”: ispirazione o applicazione. In fondo, questa è la posizione anche di quella parte sempre più influente di filosofia che va sotto il nome di analitica, nome generico che indica ora più uno stile o un metodo che una teoria. L’analitica vuole essere un modo di indagare i problemi della filosofia, dall’epistemologia all’ontologia, dalla filosofia della mente alla filosofia politica, che si ispira alla rigorosità della logica dell’inizio del XX secolo. Anche per questo stile filosofico, la letteratura può essere al limite un oggetto di analisi, ma non una forma propria di conoscenza.

Il tentativo più interessante di considerare la letteratura come forma di conoscenza viene forse dal cosiddetto “paradigma narrativo” che ha illustri rappresentanti: Ricoeur, MacIntyre, Walzer, Cavell, Colapietro. Tutti costoro hanno cercato di cogliere nella narrazione tipica della letteratura una forma di conoscenza, un tipo di razionalità. Il tentativo è di certo interessante e va nella direzione giusta di una spiegazione dell’esperienza comune dell’autore e del lettore, anche se, a mio avviso, non ha prodotto i risultati sperati, cioè non è riuscito a cogliere l’originalità del ragionamento che accade nella letteratura, inclinando spesso o verso un’ermeneutica radicale che identifica la narrazione con un’infinita interpretabilità, o verso un’analisi logico-linguistica un po’ più sofisticata del normale.

Ma c’è un ragionamento tipico della letteratura? Penso sia un’indagine necessaria, che non a caso inizia a essere interesse accademico diffuso, almeno nel resto del mondo. Se dovessi rispondere, partirei da un’osservazione di Kant sulla filosofia e sulla matematica: la filosofia considera il particolare solo nell’universale, mentre la matematica considera l’universale solo nel particolare. Curiosamente, la letteratura sembra in questo più simile alla matematica: fa capire i concetti in casi singoli e utilizzando delle figure individuali. Si può dire che in questo senso la conoscenza della letteratura è sintetica e non analitica. Ma è solo uno spunto per cominciare a pensare.


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