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Home » Cultura » PAPA/ Come si fa a sapere ciò che è giusto?

  • Cultura

PAPA/ Come si fa a sapere ciò che è giusto?

Venerdì scorso si è svolto all’Università Cattolica di Milano un incontro pubblico sul discorso di Benedetto XVI al Bundestag di Berlino. L’approfondimento di FRANCESCO BOTTURI

Francesco Botturi
Pubblicato 12 Marzo 2012
benedettoxvi_ppiano_biancoR400

Benedetto XVI (Imagoeconomica)

Il discorso di papa Benedetto XVI al Parlamento tedesco colpisce per due aspetti. Il primo è la forza argomentativa con cui giunge a mostrare come sia inevitabile il problema di un criterio di valore nei provvedimenti giuridici e nelle decisioni politiche. La vita pubblica non può essere condotta sul filo di sole procedure neutrali e asetticamente universali. La tendenza contemporanea a privilegiare la proceduralità come comun denominatore della convivenza si giustifica per la crisi cui è giunta la cultura dell’universale riconosciuto e condiviso. In assenza di universali qualitativi pubblici di qualche consistenza, le procedure sembrano garantire l’oggettività e l’unità. La legge invece ha sempre a che fare invece con beni umani fondamentali e quindi con valutazione assiologiche (strong evaluations). 


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Il secondo aspetto è la lealtà con cui il Papa esplicita la difficoltà di definire criteri di valore condivisi; criteri che difficilmente oggi tutti possono riconoscere. Il Pontefice tenta di rivalutare in proposito il criterio di natura, mostrando – esemplificativamente  – come, nella cultura ecologica contemporanea, l’idea di natura sia tornata ad avere significati qualitativi ed etici; cioè che per l’uomo è ragionevole «ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente», come Egli ha detto. 


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Ma – si domanda il Pontefice – «come può la natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni?»; in specie – si sottintende – quando si tratti non della natura cosmica, ma della natura umana. Per influsso della «cultura positivista», infatti, “natura” sembra significare – anche quando si parla dell’uomo – qualcosa di altro da e di contrapposto a ciò che caratterizza l’uomo come soggetto razionale e libero: natura e razionalità si oppongono e altrettanto necessità oggettiva e libertà soggettiva. La difficoltà è così radicata che quanto il Pontefice afferma: «l’uomo […] è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura […]» è troppo facilmente esposto ad essere interpretato come se intendesse dire che la natura come realtà non umana (o meno che umana) dovrebbe costituire misura di giustizia del volere e dell’agire umani; cosa che scatena inevitabilmente un’obiezione frontale e senza appello. 


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Così, quando il Papa fa l’importante osservazione che il cristianesimo non ha mai imposto alla Stato e alla società un diritto rivelato, ma è riandato «alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto», il binomio di natura  e ragione va adeguatamente compreso, dal momento che è inevitabile chiedersi come intendere tale “natura”: se la si intende come natura cosmica in che senso può essere normativa; se la si intende come natura umana, in che senso la ragione non sarebbe anch’essa parte di questa natura? 

Dunque, che dire di questa difficile situazione? È questainsormontabile oppure si potrebbe tentare di fare di tale difficoltà una risorsa? Ecco il tema che merita di essere ripreso.Per prima cosa penso che si dovrebbe accuratamente evitare di affermare o di dare l’impressione di affermare che l’uomo sia pensabile come la somma spirito + natura, in cui lo spirito troverebbe la giustificazione del suo agire nella sua conformità a una natura eterogenea cui si accompagna. Forse nessuno dei sostenitori attuali della legge morale naturale o del diritto naturale intende la cosa davvero in questo modo, ma è così che viene immediatamente recepita se non è più attentamente formulata, appunto a motivo di quel pregiudizio antinaturalistico che oggi funziona in automatico. Forsesi potrebbe impostare la cosa affermando 1. che l’uomo è spirito incarnato; 2. che è tale insieme ad essere la natura, quando si parla dell’uomo; 3. che tale natura porta in sé esigenze (beni) da tutti riconoscibili (e in gran parte, di fatto, riconosciute) di vita, di conoscenza, di relazione, di cultura e dicostruzione storica; 4. che tali esigenze meritano di essere protette eticamente e giuridicamente, perché sono condizioni sine qua non dell’essere umano.

In tal senso lo spirito non deve conformasi a una natura altra da sé, ma deve riconoscere anzitutto la propria natura di spirito vivente, intelligente, desiderante, relazionante e relazionato, creativo, che eccede ogni cosa e insieme pervade (dandovi il suo senso) tutto l’umano non spirituale, che dallo spirito vivente trae la sua forma: il corpo, la natura ambientale, la materia modellata dalla tecnica, le strutture e le funzionalità sociali, ecc. In secondo luogo, allora lo spirito vivente trae insegnamento anche dalla realtà “naturalistica” per il significato che essa assume in rapporto all’umano. In questa prospettiva la moralità sarà il dovuto rispetto (cura e promozione) per i beni umani – come afferma anche J. Finnis – che sono in gioco nell’agire umano stesso, in cui ne va dell’identità e della dignità della persona. Morale sarà dunque il dovere di rendere giustizia all’umano in tutti quegli aspetti in cui la sua propria natura, essenza e identità sono messe in gioco nel suo agire.

Di qui si può trarre una conseguenza interessante in termini di dialogo culturale nell’oggi. Se l’idea di natura è riempita immediatamente in senso antropologico, il confronto si sposta su tale versante, sul quale l’intesa non è facile, però è maggiormente possibile. Più precisamente, la linea del confronto si sposta dalla questione della natura in astratto a quella dei caratteri che identificano l’umano. Dibattito sull’umano – notiamo – che è interno anche alla cultura laica, divisa tra una visione individualistica (l’uomo fascio di interessi + potere imperativo di autodeterminazione, esigente sempre nuovi diritti) e una visione dell’uomo, invece, come essere individuo ma relazionale, per il quale sono beni indispensabili le relazioni, i legami generativi, le trame dialogiche, i nuclei sociali primari. 

In altri termini, anche nella cultura laica l’umano in-relazione, la sua dimensione intersoggettiva, è avvertito come bene vasto e prezioso moralmente rilevante. I beni propri di questa visione dell’uomo costituiscono criteri di valore in cui la libertà individuale già riconosce la sua appartenenza a un umano che la precede, la vincola e la orienta, già riconosce la dipendenza dei suoi atti dalla loro “natura” umana intersoggettiva. Certamente la natura umana è più ampia e più profonda, ma già la sua chiave di lettura in termini di intersoggettività è in sé importante e può riaprire un dialogo sulla natura umana e la sua normatività.


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