Avevano l’aria davvero molto soddisfatta tutti i dirigenti del Van Gogh Museum di Amsterdam quando lunedì hanno potuto togliere il velo dal quadro ritrovato di Vincent Van Gogh, un quadro di cui non si conosceva l’esistenza. È un ritrovamento in effetti non di routine, anche se non è corretto dire che si tratta della prima autenticazione dal 1928 ad oggi, perché nel 2009 lo stesso Museo aveva confermato come buona una tela con il Moulin del Galette, dipinta nei mesi del soggiorno parigino.
Il quadro ritrovato è relativo al periodo più importante della storia artistica di Van Gogh, il 1888, quando lavorò ad Arles prima da solo e poi, per i famosi e fatidici 66 giorni, insieme a Gauguin. Il paesaggio si riferisce ad un luogo appena a nord della cittadina provenzale, dove c’era, e c’è, anche una grande abbazia: Van Gogh parla a ripetizione nelle lettere della fascinazione di questa piana, che aveva dipinto anche qualche altra volta. Addirittura in una lettera del luglio 1888 scrive di esserci stato almeno 50 volte. Descriveva così il luogo in una lettera a Emile Bernard Van Gogh: «Un enorme tratto di campagna piatta, di cui si può avere una “vista da uccello” dalla cima di una collina. Vigneti e campi di grano appena raccolto, il tutto che si moltiplica all’infinito, estendendosi fino all’orizzonte come la superficie di un mare, limitato dalle piccole colline della Crau». Ovviamente ci sono pochi dubbi su questa attribuzione, visto che una organizzazione tanto autorevole quanto potente come il museo di Amsterdam è scesa in campo senza esitazioni e suonando la grancassa, anche se pare che agli inizi degli anni 90 avesse rigettato l’autografia dello stesso quadro.
Va detto che il quadro non è tra i più belli di Van Gogh e se confrontato con quel che Vincent dipinse in quella straordinaria estate del 1888, lo troviamo un po’ timido e pallido (i Girasoli sono stati realizzati in quegli stessi mesi). E va detto che tra tante certezze qualche dubbio può essere avanzato, non tanto per mettere in discussione la paternità del quadro ritrovato, ma per sottolineare alcuni particolari che non tornano. Lo ha fatto prontamente sul suo blog Antonio De Robertis, il più accanito studioso italiano di Van Gogh, autore di una ricerca di grande importanza in cui ha rintracciato nel fondamentale corpus delle lettere del pittore tutti i quadri di cui lui scive e di cui si è persa traccia (Vincent Van Gogh, le opere disperse, 2005).
Ebbene, Van Gogh a questo quadro non fa cenno e la lettera del 4 luglio cui fanno cenno i responsabili del museo è la descrizione emozionata di un tramonto visto a Montmajour senza nessun cenno ad un quadro realizzato.
La tela non è firmata, cosa frequente in Van Gogh, e ha sul retro un numero “180” che secondo i responsabili del museo è relativo all’ordinazione fatta da colei che si trovò a gestire l’opera di Van Gogh all’indomani del suo suicidio e della morte del fratello Theo: vale a dire la moglie di quest’ultimo Johanna Bonger. Ma sul taccuino preciso stilato dal fratello di lei Andries, al numero 180 compare un altro quadro, un Tramonto su Arles.
Insomma qualche piccolo dubbio forse in questi casi è sempre meglio lasciarlo aperto. Ma non funziona così per quella macchina di retorica vangoghiana che è diventato il museo di Amsterdam. Che naturalmente ha chiesto agli attuali proprietari di poter esporre il quadro ritrovato per un anno, a partire dal prossimo 24 settembre, nell’ambito della mostra Van Gogh at work.