Tempo fa, riflettendo sugli ultimi pontificati sono giunto alla conclusione che il centro del magistero di Benedetto XVI sia stato Dio (Dio come logos e come agape, Deus caritas est è il titolo della sia prima lettera enciclica), il cuore dei lunghi e intensi ventisette anni di Giovanni Paolo II la persona di Cristo Redemptor hominis, il nucleo infuocato dell’insegnamento di Paolo VI e della sua stessa passione pontificale sia stata la Chiesa, Ecclesiam suam, la Chiesa del Signore. La prima enciclica del Papa bresciano, a 50 anni dalla sua pubblicazione, appare come un testo attualissimo, come sgorgasse ora dalla penna e dal cuore di un pastore che guarda alle necessità più gravi della sua comunità e del suo tempo. E la necessità di oggi è la grazia dell’incontro con l’umanità di Gesù che vive nella sua Chiesa. La Chiesa, o meglio, il rinnovamento della sua vita, è stata anche il centro dell’attenzione, la ragione motrice del Concilio Vaticano II. Una Chiesa che avvertiva quante cose erano cambiate nella storia dell’uomo soprattutto negli ultimi tre secoli, dalla Rivoluzione Francese in poi e in particolare dopo la fine del potere temporale. Quali erano i rami secchi che dovevano cadere? I nuovi germogli di cui favorire la crescita? Le nuove parole che potevano esprimere la fede di sempre?
Queste erano le domande fondamentali che Papa Paolo Vi si era posto durante il primo anno di pontificato. Le risposte costituiscono le tre parti dell’Ecclesiam suam: la coscienza che la Chiesa ha di sé, il rinnovamento, il dialogo. Innanzitutto: cosa deve pensare la Chiesa di se stessa, quale deve essere la sua autocoscienza? Il Papa non vuole anticipare i lavori del Concilio. Più volte esprime il suo profondo rispetto per i Padri conciliari, inserisce la sua voce nel contesto della vicenda ecclesiale di quegli anni senza nascondere l’autorità di Pietro, ma con una grande attenzione per le voci degli altri. La Chiesa “ha bisogno di riflettere su se stessa; ha bisogno di sentirsi vivere” (ES, 27). Papa Montini ricorda qui l’enciclica di Pio XII sulla Chiesa come Corpo Mistico di Cristo.
“Il primo frutto della approfondita coscienza della Chiesa su se stessa è la rinnovata scoperta del suo vitale rapporto con Cristo” (ES, 37). La Chiesa è mistero, continua il Papa, fissando così un’espressione che sarà la nota fondamentale dalla Lumen gentium: “Il mistero della Chiesa […] dev’essere un fatto vissuto, in cui ancora prima d’una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata esperienza” (ES, 39). Una frase che subito don Giussani annoterà ai suoi giovani radunati a Varigotti poche settimane dopo la pubblicazione dell’enciclica.
Questa prima parte del documento pontificio si chiude con una lode a Dio per il grande dono del battesimo. Ha forse perso il popolo di Dio il senso della grazia missionaria del battesimo? Si è scelti per essere mandati, come ci ricorda continuamente Papa Francesco. Paolo VI intitola la seconda parte: rinnovamento. Più avanti parlerà di riforma. Precisa subito: il rinnovamento non è riduzione della Chiesa a piccole comunità, quasi sognando un’età dell’oro delle origini; non è una cancellazione di quanto in essa è istituzionale, quasi bastasse una visione carismatica, non è adattamento alla mentalità del mondo, al naturalismo, al relativismo, alla rinuncia nella lotta contro il male. Le tracce fondamentali di un vero rinnovamento stanno invece nell’obbedienza a Cristo, nello spirito di povertà che rende liberi e nella carità. Non sembri che Paolo VI abbia proposto qui un programma generale.
Se si pensa con attenzione alle linee da lui messe avanti, si nota la sua preoccupazione di toccare i livelli profondi, sorgivi di ogni giovinezza della Chiesa. E infine, terza parte, il dialogo. Il Papa sceglie questa parola. E tale scelta avrà una eco profonda e farà ricordare soprattutto queste pagine di tutto il documento. Dialogo con tutto l’umano, dialogo con chi crede ma non è cristiano, dialogo tra i cristiani. C’è già il programma di tutto il Concilio e di tutto un pontificato, la rivelazione dell’animo e del pensiero di Giovanni Battista Montini, la sua ansia di andare incontro all’uomo, agli uomini, di superare i solchi prodotti nell’età moderna dalle incomprensioni reciproche. C’è il primato dell’evangelizzazione. Alcune espressioni contenute in queste pagine resteranno. “La Chiesa si fa parola, si fa messaggio, si fa colloquio” (ES, 67). E ancora: “Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo e per quanto è possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo” (ES, 90).