Caro direttore,
in questi giorni molti media hanno affrontato il caso Vatileaks soprattutto in chiave di libertà di stampa, poiché due giornalisti italiani sono sotto processo presso la Santa Sede con l’accusa di aver illecitamente diffuso documenti segreti. Le rappresentazioni di questo profilo della vicenda mi sono parse poco convincenti: anzitutto laddove assumono la libertà di stampa come un dogma. Dogma laico, ma pur sempre dogma: naturalmente strumentale a rappresentare come dogmatica un’amministrazione della giustizia che non si condivide.
La Chiesa può essere considerata un “club” (come la definì un giorno Vittorio Feltri), e il Vaticano una “Spa” (il copyright è di Gianluigi Nuzzi, uno dei due giornalisti sotto processo), uno “Stato con potestà e giurisdizione” (come affermano i Concordati con l’Italia). Oppure — come personalmente ritiene chi qui scrive — la Chiesa è una comunità dei credenti.
Qualunque definizione si voglia adottare per la Chiesa, ciò che prescrive il laicissimo — e citatissimo — articolo 648 del codice penale italiano è ormai un principio generale del diritto contemporaneo: “Chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto” incorre nel reato di ricettazione (e non ci sono dubbi sul fatto che acquisire dati dai computer sia un delitto, in senso giuridico e nel buon senso, quanto meno per la violazione della privacy).
La “libertà di stampa” — altrove affermata e tutelata nelle normative — non può in alcun modo costituire un’esimente: la ricettazione di documenti resta reato sia nel caso di sottrazione a un “club”, a una Spa, a uno Stato sovrano. Chissà, forse chi in questi giorni leva vibrate proteste contro un presunto “processo alla libertà di stampa”, è convinto che sottrarre documenti a una comunità di credenti — per scrivere bestseller o con altri fini — non sia reato. E’ convinto — e vuole convincere — che la frontiera della pretesa libertà laica coincida con la negazione di ogni diritto a chi crede.
Trovo in ogni caso curioso il fingersi portatori di verità e per questo vittime innocenti, salvo che i diritti d’autore incassati non siano stati devoluti alla causa della libertà di stampa cara a istituzioni quale il Samir Kassir Award, intitolato dalla Ue a un giornalista assassinato sul campo in Medio Oriente. La libertà di stampa è una cosa seria: senz’altro dove le storie da raccontare non si “sottraggono” e tanto meno “ricettano”.