“Sei la Poesia, il fuoco della poesia, la verità della poesia”. È un fiume ardente in piena chi scrive ed è il 78enne Giuseppe Ungaretti folgorato dalla bellezza della giovane Bruna Bianco.
Apprendiamo la storia completa di questa fiamma, finora nota per indizi, da Lettera a Bruna, libro monumentale (658 pagine) e bellissimo appena pubblicato da Mondadori: è un canzoniere d’amore, un aperto cantiere poetico e anche una biografia day by day (dal 1966 al 1969) dell’autore del Sentimento del tempo.
Tutto accadde in Brasile nell’estate del 1966. Ungaretti era tornato nella terra in cui aveva insegnato e in cui aveva visto morire, nel 1939, Antonietto, il figlio di nove anni. L’esperienza atroce si versò in intensissima poesia: Mi porteranno gli anni/ Chissà quali altri orrori,/ Ma ti sentivo accanto,/ M’avresti consolato….
La terra che era stata dolente gli regalò un’inattesa seconda giovinezza. Bruna si presentò a Ungaretti dopo una lettura di poesia. Scriveva anche lei, voleva conoscere il maestro, scattò la scintilla. Ungaretti iniziò a scriverle dalla nave che lo riportava in Italia: “Grazie alla ragazza che scrive poesie semplici et belle et in tutto est poesia semplice et bella il nonno Ungaretti”. Ma il “nonno” ebbe presto una stupefacente metamorfosi: “Ti stringe sullo stanchissimo cuore che hai fatto il miracolo di ringiovanire ravvivare un po’, il vecchio nonno. Amo per l’ultima volta, e come non ho mai amato, con disperazione. Sei il mio sogno della fine, assurdo, stupendo, orrendo. Ti sogno a occhi aperti, ti sogno nel sonno, sono in uno stato di sogno continuo, e so che sognarti è per me, non può essere per me che la cosa l’atto più amabile e più crudele che ci sia”.
Ungaretti d’improvviso iniziò a scrivere lettere lunghissime (“Pensa al miracolo che stai compiendo: non ho mai scritto lettere più lunghe di dieci righe…), ma, soprattutto, ritrovò la vena carsica della poesia, considerata perduta: “M’è rinata nel cuore la poesia, l’ha fatta rinascere la gentilezza d’una pura voce di poesia… Erano sei anni che non facevo più poesia”.
Tutta la sezione “Ungà” di Vita d’un uomo racconta quel sorprendente viaggio d’amore: È ora famelica, l’ora tua, matto.// Strappati il cuore.// Sa il suo sangue di sale/ E sa d’agro, è dolciastro essendo sangue.// Lo fanno, tanti pianti,/ Sempre di più saporito, il tuo cuore.// Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore,/ Strappatelo, mangiatelo, saziati.
Nelle lettere Ungaretti è spigliatissimo e non risparmia dardi ai colleghi: “Leopardi lo conosci davvero? È il gigante dei giganti dall’800 ad oggi, il gobbettino carissimo. È il gigante tra quanti hanno avuto genio poetico da quegli anni… Il Carducci mi ha sempre detto poco… Quasimodo era un mediocre poeta che ha rifatto continuamente la mia poesia del Sentimento dannunzianeggiandola”.
Le lettere a Bruna scandagliano l’anima del poeta: “Sono un uomo, un vecchio uomo, ma anche se vecchio, sempre uomo del sole. Non amo che il sole”, e sono particolarmente intense quelle inviate dalla Terra Santa: “Stamani ero a Cafarnao, a Nazareth, da un luogo all’altro, in tutti i posti — i più belli del mondo — dove Gesù faceva i suoi miracoli. Bisognava vedere che cos’è il lago di Tiberiade, di questa stagione, e in giorni chiari come quelli che mi accolgono in questi giorni qui. Quando faceva sera, e l’ombra si estendeva sotto l’azzurro dell’acqua, piano piano, facendola rabbrividire e fremere, come un’anima viva, come l’anima che illumina e abbuia i tuoi occhi, il lago di Tiberiade, amore mio, era la visione più bella del mondo. È un paese pieno di miracoli. Il paese che Gesù ha reso meraviglioso passeggiando sull’acqua. Si sente che al suo passo sulla terra è nata la verità, anche se nessuno l’accoglie, se non a briciole” (Lettera del 25 gennaio 1967).
Tra le confidenze e i coloratissimi resoconti di viaggi, Ungaretti annota per Bruna anche considerazioni di poetica: “Il grande segreto della poesia è nella semplicità della parola”. E ancora: “La poesia s’impara meglio all’aria aperta che sui libri. Ricordalo. I libri non hanno mai insegnato nulla a nessuno che non sapesse guardare con i suoi occhi, che non sapesse sentire con i sensi”.
Ungaretti ebbe sempre un’invincibile nostalgia della Terra promessa. Del Roveto ardente. E così consegnò il suo “autoritratto ustorio” a Bruna: “Sono uno venuto fuori da vulcani, non mi sono bruciato, brucio, brucio come un fondo imo di etne, vulcano, come il segreto buio degli incendi abissali…”.