Si legge spesso in testi che hanno a che fare con la realtà ecclesiale la parola compagnia per indicare la comunità dei fedeli. Compagno si dice di una persona con cui si condividono interessi o un’esperienza importante: la parola è molto usata come contrassegno di comune appartenenza a una ideologia o a un partito, e oggi è frequente anche per indicare il partner di rapporti sentimentali impegnativi.
Ma la storia della parola è complicata. Compagno viene dal latino com-panio, e quest’ultimo da panis, “pane”: compagno è la persona che assume il pane insieme a noi. Il termine appartiene al latino tardo, e lo si incontra per la prima volta nella Lex Salica, un codice di leggi fatto redigere dal re dei Franchi Clodoveo per la tribù dei Salii attorno all’anno 503. Siamo agli albori del Medioevo, in un ambiente in cui l’identità romana e l’apporto germanico stanno per fondersi in una nuova forma di civiltà. Dunque l’origine di companio deve essere cercata in ambiente linguistico germanico. Nella più antica traduzione della Bibbia in una lingua germanica, quella in lingua gotica del vescovo ariano Wulfila (morto nel 388), troviamo la parola gahlaiba che ha formazione identica a companio (è composta di ga- “insieme” e da hlaifs “pane”). In gotico gahlaiba corrisponde a parole del testo originario greco che designano il compagno di studi o il compagno di lotta e di milizia (anche religiosa).
Rispetto al termine gotico, companio è quello che tecnicamente si chiama un calco: la parola straniera viene analizzata e fedelmente riprodotta coi mezzi a disposizione del latino. Come equivalente semantico di companio il latino aveva socius oppure contubernalis, il compagno di tenda, termine nato nell’ambiente militare. Anche per companio si è ipotizzata un’origine militare, ma la parola gotica su cui companio è modellato ha uno spettro di significati più vario. La parola è diventata immediatamente popolare, e ha fatto sparire socius (rimasto solo nella lingua colta). Accanto a companio si ha compagnone, che ha risonanze tendenzialmente negative, o in francese copain, compagno di una relazione sentimentale.
Nel mondo pagano non esiste una parola che introduca la stessa metafora di companio, ma è ben radicata l’idea che la partecipazione al pasto comune crei simpatia e circolazione di idee. Nell’antica Sparta è diffuso il sissizio, il pasto comune dei cittadini liberi (compresi i re), un momento pubblico istituzionale regolato secondo norme precise. In Atene usa il simposio, conclusione di un banchetto comune e momento festoso di dibattito libero e convivenza amichevole. In un’area lontana, quella armena, esiste la parola enker “compagno”, simile per significato e formazione a companio (en- “insieme” e la radice di “mangiare” ker): formazione simile ma certo indipendente.
Per capire il motivo del diffondersi di compagno si deve tener conto del radicarsi del cristianesimo nella cultura dell’epoca. Col cristianesimo la partecipazione al banchetto comune non è più un fatto politico o un momento di festa e di amicizia: il cristiano condivide una mensa che ha un valore più profondo e fondante, la mensa eucaristica: la partecipazione al pane assume un significato che trascende l’umano. Come ricorda Paolo, “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (I Cor. 10, 17). Scrive san Giovanni Paolo nella sua ultima enciclica, Ecclesia de Eucharistia (2003): “Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nella comunione eucaristica, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore umano, e insieme innalza l’esperienza di fraternità insita nella comune partecipazione alla stessa mensa eucaristica a livelli che si pongono ben al di sopra di quello della semplice esperienza conviviale umana”, e Papa Francesco: “Tutti siamo invitati alla Mensa del Signore. Parola e Eucaristia sono i farmaci con cui il medico divino ci salva” (Angelus del 13 aprile 2016).