Abraham Yehoshua è uno dei più famosi e criptici scrittori israeliani del nostro tempo, un “campione” della fede ebraica e allo stesso punto un ottimo profilo in grado di poter dialogare anche con le altre religioni utilizzando l’unica arma a sua disposizione, la letteratura. Mercoledì scorso ha sviluppato nel corso di una conferenza tenuta alla Pontificia Università Gregoriana, nell’ambito del ciclo di incontri promosso dal Centro Fede e cultura Alberto Hurtado e dal Centro cardinale Bea per gli Studi giudaici, una riflessione sugli argini morali nella letteratura mondiale, non solo presente. «La letteratura moderna ha messo da parte le questioni di carattere morale prediligendo interpretazioni filosofiche, filologiche e psicologiche che la rendono probabilmente meno problematica ma di certo anche meno attraente»: una frase che suona come un appello-denuncia fatta sia durante la conferenza e sia nella lunga trattazione lasciata in esclusiva alla Stampa di Torino proprio sul tema del “cattivo” in letteratura e nella cultura, un tema di profondo interesse in un’epoca in cui i “buoni sentimenti” rischiano spesso di confondere i tratti del bene, del male, dell’errore e del destino in relazione a tutti questi temi. Mancano i cattivi, mancano i malvagi, e questo non accade perché siamo tutti “più buoni”, tutt’altro: secondo Yehoshua se da un lato fioccano dibattiti tutti puntati all’etica in tutti i campi della vita sociale, dall’altra la letteratura (e di conseguenza anche la realtà) va soffocando sempre di più il conflitto morale. «Più è evoluta la nostra comprensione psicologica e più è difficile esprimere i giudizi morali semplici e ovvi richiesti quando affrontiamo un personaggio come lo Iago di Shakespeare o il Fagin di Dickens»: secondo lo scrittore uno dei motivi di questa “mancanza” è proprio la nostra epoca tutta tesa a cercare di psicologizzare tutto, con il risultato che spesso la morale viene annacquata o peggio eliminata. Secondo Yehoshua poi nei romanzi moderni non esiste più la “differenza” morale netta, e anche i “cattivi” che sbagliano o peccano, lo fanno per una colpa ancestrale della modernità che “li ha portati a sbagliare”.
RASKOLNKOV E L’INFANZIA DIFFICILE
Società, condizioni economiche, relazioni in famiglia, e tanti altri motivi reali e veritieri ancora: secondo lo scrittore israeliano premiato all’Accademia dei Lincei «tutto serve per spiegare le azioni malvagie del personaggio. In Delitto e Castigo Dostoevskij fornisce ben pochi dettagli sull’infanzia di Raskolnikov» e questo sta a significare secondo Yehoshua come il genio russo aveva compreso che con la psicologia esagerata spesso si rischia di sviare dal dilemma morale che è il fulcro del romanzo, “un individuo ha il diritto a realizzarsi uccidendo una cosiddetta “parassita”?. Ecco, un assassino del genere oggi non sarebbe possibile negli scritti e nei romanzi; questo non significa che la psicologia sbagli tutto, ma che la nostra pretesa di renderla universale rischia di togliere il fulcro delle cose che abbiamo davanti, ad esempio la morale. Scendono Yehoshua altri motivi concorrono allo stesso problema: dalla “dittatura” dei sistemi giuridici nelle nostre vite fino all’utilizzo dei media che «spesso affrontano in maniera superficiale e veloce i grandi dilemmi etico-morali». Un ultimo “motivo” che spieghi la scomparsa dei “cattivi”, ovvero dei problemi morali all’interno dei romanzi, per lo scrittore israeliano è da imputare alla paura che ogni discussione a sfondo morale incappi nel rischio della censura: anche in Paesi che godono della libertà democratica e non solo nelle dittature, si teme che con la morale si torni ad un ideologizzazione come nel passato. «Noi credevamo che i dibattiti morali tarpassero le ali della letteratura e le impedissero di librarsi e in più inibissero il lettore»: ecco l’errore riscontrato da Yehoshua che tutti oggi paghiamo (e non solo nella letteratura).
ESISTE L’OGGETTIVITÀ IN CAMPO MORALE?
La conclusione del discorso tenuto dallo scrittore a Roma per il premio Feltrinelli è di quelle importanti e che lasciano aperto il dibattito assai complesso, non vuole “chiudere” nulla e lascia lo spunto al lettore. Faceva così anche Dostoevskij e come tutti i grandi geni riusciva a presentare la realtà, darne un giudizio lasciando allo stesso tempo libero il lettore: essere liberi non significa certo non avere “condizionamenti” o giudizi davanti di testimoni e grandi uomini che hanno a che fare con la realtà (come tutti noi). «Il problema più grande della critica letteraria morale è se esistano i criteri oggettivi per condurre seriamente il dibattito e la ricerca; ciò che uno scrittore valuta come morale o immorale nel comportamento dei personaggi che ha creato non è necessariamente condiviso dai suoi lettori». Per Yehoshua p assai complesso trovare una oggettività nella morale da quanto teniamo a rispettare (e qui è corretto) e farci andare bene qualsiasi codice culturale e morale nella nostra società, senza più opporre una anche minima dialettica e critica. «Ogni posizione morale personale. E poiché le variazioni e le sfumature sono ciò che ci interessa in un testo letterario, è difficile trovare un linguaggio comune tra l’analisi del testo e il giudizio morale»: se ci pensate è un problema tutt’altro che “riscontrabile” solo nella letteratura ma nella cultura stessa e nell’analisi delle nostre società. E forse anche la sfida più grande: cosa può rendere effettivamente “uguali” e simili gli uomini? Esiste un elemento oggettivo e con cui tutti possono paragonarsi? Vi è una dimensione personale insita ad ognuno con il quale potersi rapportare ad un tu estraneo a sé?