È scoppiato in questi giorni il giallo del terzo rinnovo dei “navigator”, il cui compito principale era virtualmente supportare gli operatori dei Centri per l’impiego nella realizzazione di un percorso che coinvolgesse i beneficiari del Reddito di cittadinanza dalla prima convocazione fino all’accettazione di un’offerta di lavoro congrua.
Al bando diffuso da Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, nella primavera del 2019 avevano risposto 78.788 persone. Ne furono assunti a luglio 2019 dalle regioni 3.000 dopo una sommaria e inqualificabile “selezione”, ai quali è stato applicato un contratto cococo cioè a tempo determinato che scadeva in aprile (e solo per 3 mesi a carico delle Regioni), ma rinnovabile. Infatti, dopo che le regioni Lombardia, Veneto, Campania, Piemonte e Umbria si sono opposte al rinnovo, sono stati recuperati da Anpal servizi fino al 31 luglio (attraverso il dl Aiuti) e successivamente fino al 31 ottobre del 2022 e qui lo stop dell’attuale ministro del Lavoro a questa emorragia di risorse verso chi non ha dimostrato di essere in grado di meritare lo stipendio poiché i dati miserrimi sui percettori del Rdc avviati al lavoro sono stati la plastica condanna di coloro (oggi 946 dei 3.000 assunti) che fino a pochi giorni fa e per tre anni hanno percepito uno stipendio medio di 1.730 euro netti al mese (circa 30.900 euro lordi all’anno).
Certo non sarà facile per loro trovarsi un lavoro anche in considerazione della esperienza non esperita vuoi per mancanza di collaborazione con i dipendenti dei Centri dell’impiego (la cui retribuzione mensile è di circa 1.250/1.300 euro netti), vuoi per antiche diatribe fra strutture e territori che dovevano collegarsi e coordinarsi per scambiarsi i dati per una ricerca effettiva tra domanda e offerta di lavoro e soprattutto per inerzia delle procedure per l’eventuale riqualificazione professionale dei disoccupati.
Una storia simile, ma di rango assolutamente superiore per la qualità delle persone di cui ci occupiamo che reggono da tempo infinito spesso la qualità della didattica universitaria riguarda i Ricercatori. Ottimi laureate e laureati, sovente condannati a rimanere eterni precari. Loro sono assunti dalle Università italiane a norma della Legge 240/2010, e il reclutamento avviene mediante procedura di valutazione comparativa su titoli ed esperienza eccellente. Si seleziona così personale addetto ad attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, tramite stipula di contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato, e lo stipendio medio di un ricercatore è di 1.600 euro netti al mese (circa 29.500 euro lordi all’anno) dunque inferiore a quello dei cd “miracolati navigator” e soprattutto non rinnovabile. Si tratta, infatti, di contratti triennali non rinnovabili al termine dei quali è possibile accedere al ruolo di Professore di II fascia, ma se in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, e a seguito di valutazione positiva dell’ateneo. Oppure si tratta di contratti della durata di 3 anni, rinnovabile solo per ulteriori due 2 anni. O per assegnista di ricerca per i quali ogni contratto individuale può avere una durata minima di un anno e massima di tre. La durata complessiva dei rapporti come assegnista di ricerca del singolo soggetto non può comunque essere superiore a sei anni. La durata complessiva dei rapporti come assegnista di ricerca e di ricercatore a tempo determinato, intercorsi tra il medesimo soggetto anche con istituzioni diverse, non può in ogni caso superare i dodici anni, anche non continuativi.
In buona sostanza, dopo aver portato l’acqua con le orecchie alle Università, la carriera si blocca. A meno che tu si sia figli di un Dio maggiore e allora… Se, dunque, si deve parlare di merito è chiaro che vanno cambiate le regole sia di reclutamento che contrattuali anche per essere competitivi veramente e premiare i nostri giovani che se lo meritano.
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